L'Editoriale / Bergamo Città
Sabato 22 Giugno 2024
Sale la povertà, il dramma nei dati
ITALIA. La povertà in Italia oggi è ai massimi storici: significa che siamo un Paese in declino, che regredisce anziché crescere come è avvenuto dal Dopoguerra. Di solito chi non ne fa parte cerca di non guardarci dentro, la filosofa Adele Cortina ha coniato il termine di aporofobia.
Forse perché chi osserva questo lago di miseria che si allarga a macchia d’olio rischia di specchiarsi, sa nel profondo che potrebbe capitare anche a sé stesso, a pensarci basta un niente: il fallimento della propria attività, un contenzioso economico, la perdita del posto di lavoro, l’impossibilità di trovarlo, un debito che si ingigantisce nel tempo, un’occupazione precaria o a basso salario che ti fa misero (ma non miserabile) anche se lavori, una separazione, un divorzio. Ci vuol poco per divenire uno dei personaggi rappresentati nei «bassifondi» di Maxim Gorkij, categorie umane dell’esistenza che il progresso non ha ancora cancellato.
Gli ultimi dati ci arrivano dal report statistico nazionale 2024 di Caritas italiana, proveniente 3.124 Centri di ascolto dislocati in tutte le regioni italiane. Dati drammatici: il 9,8% della popolazione italiana, un residente su dieci, vive in povertà assoluta. Complessivamente risultano in questo stato (quello che Marx chiamava il «lumpen proletariat») 5 milioni e 752mila residenti, per un totale di oltre due milioni e 234mila famiglie. Ad essi si aggiungono coloro che vivono in una condizione di rischio di povertà e/o esclusione sociale: si tratta complessivamente di circa 13 milioni e 391mila persone, pari al 22,8% della popolazione, per la maggior parte concentrati nelle aree del Mezzogiorno. Una persona su cinque, dunque, deve vedersela tutti i giorni con le ristrettezze economiche.
Si rafforzano le povertà «intermittenti e croniche»: uno «zoccolo duro» di povertà - così lo chiamo il report - che si trascina di anno in anno. A chiedere aiuto sono un po’ di più le donne rispetto agli uomini, con un’età media di 47,2 anni. Le famiglie con minori rappresentano il 56,5% del totale. Come detto, un fattore che accomuna buona parte delle persone assistite è la fragilità occupazionale, che si esprime nella condizione di disoccupazione (48,1%) e di «lavoro povero» (23%). Tra i lavoratori poveri si contano per lo più persone di cittadinanza straniera (65%); uomini (51,6%) e donne (48,4%); genitori (78%) e coniugati (52,1%); impiegati in professioni non qualificate; domiciliati presso case in affitto (76,6%).
Povertà è spesso sinonimo di solitudine, a cominciare dalle persone anziane: cresce infatti la grave marginalità di queste persone: nel 2023 i senza dimora sostenuti dalla rete delle Caritas diocesane e parrocchiali sono stati 34.554, corrispondenti al 19,2% dell’utenza complessiva. C’è poi il drama dei bambini, l’anello debole della nostra società insieme agli over 65. In Italia sono tanti i nuclei familiari con minori in stato di indigenza. I bambini nella fascia da 0 e 3 anni registrano l’incidenza più alta di povertà assoluta pari al 14,7%. In pratica, un bambino su sette fino a 3 anni di età è povero in termini assoluti.
Viene poi segnalata la fine dell’ascensore sociale: il nostro Paese continua a detenere la più bassa mobilità educativa in Europa: ciò significa che il titolo di studio dei genitori influisce pesantemente sulle scelte formative, sulle opportuntà e quindi sul futuro dei loro figli. Anche una provincia ricca per antonomasia come quella di Bergamo non è esente da questa situazione, tra vecchie e nuove povertà. Crescono soprattutto i lavoratori poveri, divorati dal contesto economico e inflattivo che richiede sempre più risorse per andare avanti, accanto agli «homeless», ai diseredati, a quelli che nel Vangelo sono «pietre di scarto». Colpisce il fatto che il rapporto non parli di povertà puramente economica ma di povertà educativa, culturale, relazionale, abitativa, lavorativa. Tanti tipi di indigenza, ma in fondo tante facce di uno stesso prisma che delinea una condizione umana che dobbiamo debellare, o almeno limitare il più possibile. La cancellazione troppo tranchant e affrettata del Reddito di cittadinanza non va certamente in questa direzione per milioni di famiglie.
© RIPRODUZIONE RISERVATA