Salari, legge affossata e contratti al palo

ITALIA. La situazione è paradossale. Il salario minimo è stato affossato. La proposta delle opposizioni, con l’eccezione di Italia Viva, voleva fissarlo a 9 euro lordi all’ora.

La maggioranza l’ha di fatto archiviata, sostituendola con una delega al governo perché trovi una soluzione entro sei mesi. Una delle motivazioni principali che vengono addotte dai detrattori del salario minimo rimanda alla contrattazione collettiva nazionale: in Italia, si spiega, è forte e diffusa, tanto da coprire la quasi totalità dei lavoratori, comunque ben più del 90%. Epperò, e qui emerge il paradosso, ci sono contratti nazionali che aspettano da anni di essere rinnovati. Quindi? Quindi in mezzo ci sta il portafoglio dei lavoratori, che di sicuro non ci guadagna, soprattutto con i rincari degli ultimi anni che hanno eroso il potere d’acquisto.

Secondo dati Ocse, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico che riunisce 38 Paesi, i salari reali italiani, che determinano appunto il vero potere d’acquisto, sono in calo dal 1990. Solo nell’ultimo anno sono scesi del 7%. Ci ha messo del suo ovviamente l’inflazione seguita allo scoppio della guerra in Ucraina e ai conseguenti rincari energetici. L’indice nazionale dei prezzi al consumo è arrivato ad aumenti a doppia cifra a cavallo tra la fine del 2022 e l’inizio di quest’anno. Negli ultimi mesi un rallentamento c’è stato, ma non per il carrello della spesa: i prodotti alimentari si mantengono ancora su livelli superiori, da inflazione cronicizzata.

L’inflazione però è storia dell’ultimo biennio. Avere salari reali in calo dal 1990 significa avere un problema altrettanto cronico di stipendi bassi. E sui si torna al cane che si morde la coda: non si vuole introdurre il salario minimo perché c’è la contrattazione nazionale, ma i contratti nazionali non si rinnovano, anche da anni. Si calcola che il 57% dei contratti siano scaduti (i contratti sono centinaia, la frammentazione è alta e questo è tutto un altro tema). La fetta più consistente riguarda in questo momento commercio, servizi e turismo con più di 5 milioni di lavoratori in attesa. Solo nella nostra provincia, come abbiamo scritto sull’edizione di ieri, sono 50mila e salgono a oltre 70mila se si considerano anche altri contratti scaduti.

Numeri non piccoli. Non è sede qui per entrare nel merito delle ragioni dei mancati rinnovi. Nel gioco delle parti di sindacati e datori di lavoro, va da sé che le accuse sono spesso incrociate. Restano lo stato dell’arte e il paradosso: i contratti si aggiornano a fatica (il rinnovo più recente è quello dei bancari con aumenti che non si trovano in nessun altro settore) e il salario minimo è fermo al palo. Viene da chiedersi: posto che la nostra storia di contrattazione, sia nazionale sia di secondo livello è una ricchezza da salvaguardare (è giusto di ieri l’accordo provinciale per l’autotrasporto merci); e posto che il rinnovo dei contratti a scadenza in tempi ragionevoli è più che auspicabile e che nulla deve depotenziare o intaccare questo patrimonio di relazioni sindacali consolidate, è così impossibile trovare una soluzione per cui accanto alla contrattazione venga stabilito anche un salario minimo che garantisca dignità a quei tre milioni di lavoratori che oggi sono sotto quella soglia e vivono di un lavoro povero?

Anche questo abbiamo raccontato sull’edizione di lunedì: le storie di chi fa le pulizie per sei euro all’ora, di chi fa consegne a domicilio per quattro, cinque euro all’ora o di chi si occupa di vigilanza per una cifra simile sono carne viva, sudore e fatica. Possono avere una risposta? Se poi questa un giorno sarà una contrattazione collettiva dignitosa, tanto meglio. Ma per ora, perché non garantire un livello minimo? Dei 38 Paesi Ocse, 30 l’hanno. Dei 27 Paesi Ue, 22 l’hanno. Da noi, è vero che il Cnel (il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro) ha votato a maggioranza un documento contrario al salario minimo e a favore del rilancio della contrattazione. Ma è anche vero che alcuni esperti dello stesso Consiglio si sono espressi in modo diverso, sottolineando che il salario minimo per legge, implementato in modo adeguato dentro i meccanismi della contrattazione collettiva, non indebolisce questa ma anzi la rafforza. Forse, un confronto pacato sul tema capace di andare oltre le contrapposizioni politiche sarebbe auspicabile.

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