Risolleviamo
il turismo
senza tassa
sul panino

Mancava una tassa sui panini nel panorama fiscale italiano. Eppure in questo campo la fantasia non è mai mancata: nel Settecento a Venezia avevano introdotto una tassa sulle finestre e in Inghilterra un tributo sui cappelli (quando il copricapo lo portavano tutti). Ed ecco arrivare il «balzello da addentare» tra una fetta e l’altra come il companatico, rendendo lo spuntino un po’ amaro. È quello che ha proposto non il ministro dell’Economia ma il direttore degli Uffizi, il tedesco italianizzato Eike Schmidt, lo storico dell’arte che da anni combatte per difendere il bello assoluto della città di Firenze dalle brutture del turismo selvaggio.

La sua teoria estetico-tributaria è molto semplice: poiché i visitatori sostano in lunghe file davanti alle Gallerie e nelle stradine circostanti, bivaccando come gli Unni di Attila o i Goti di Alarico, lasciando sulle secolari e fragili pietre delle stradine dei marciapiedi, dei muretti e dei monumenti della città del Giglio dove camminarono Machiavelli e Lorenzo il Magnifico macchie di ketchup e di altre salsine con i quali condiscono i loro panini e le loro patatine come se fossero intorno allo stadio Franchi, allora tanto vale metter un balzello sullo street food. Non tanto per disincentivare l’acquisto di hamburger e chips, quanto per sovvenzionare le opere quotidiane di ripulitura necessarie. L’olio del panino e il pomodoro delle salsine infatti fanno male alla pietra «serena» di cui è lastricata Firenze. E infatti gli Uffizi e il loggiato sono puliti due volte al giorno.

Cambiano i tempi. Una volta forse La Pira o Bonsanti - o il direttore degli Uffizi della loro epoca - avrebbero lanciato un’invettiva dantesca: «Ahi, serva Italia di dolore ostello che sporchi strade e case a guisa di porcile». Cose così. Oggi meglio spaventare turisti e gestori di bancarelle con una tassa, che ha più efficacia.

È l’eterno problema del turismo «da un giorno», composto da quei visitatori che vogliono spendere poco, tenendosi alla larga da ristoranti, pensioni, hotel, persino bar, tranne quando viene il momento dei bisogni fisiologici da contrattare con un caffè e cinque bustine di zucchero da mettersi in tasca. Uno stile da saccopelista spesso tendente allo sparagnino che a volte si accompagna all’inciviltà e alla maleducazione, in spregio di quel bello che intendono visitare e ammirare. Questo non significa dichiarare guerra ai saccopelisti e allo street food, che peraltro è una delle eccellenze italiane che il mondo ci invidia (come si fa ad andare a Firenze senza aver mangiato il panino col lampredotto?), ma creare percorsi alternativi dove consumare il cibo di strada lontano da monumenti e lastricati fragili e preziosi. E magari affidare ai vigili urbani la missione di far rispettare strade e monumenti.

Non ci siamo ancora lasciati alle spalle un anno e mezzo di lockdown ed ecco riproporsi gli stessi problemi legati al turismo: la maleducazione e l’inciviltà. Non è un problema da poco, a parte le proposte non si sa quanto provocatorie di Schmidt: il turismo ha bisogno di risollevarsi e non può certo rinunciare a flussi importanti di visitatori spariti da un anno e mezzo, il propellente di questo settore economico così importante per il nostro Paese. Non a caso a Venezia slitta di un anno, almeno fino al prossimo gennaio del 2022, la tassa di sbarco per i turisti «mordi e fuggi» nella città lagunare, che tante polemiche aveva sollevato quando era stata annunciata. Una scelta legata al buon senso che permetterà di richiamare i turisti che sono mancati a causa della quarantena mondiale. Quei turisti che grazie a Dio stanno tornando. Anche se il problema dei visitatori selvaggi che sfregiano con il loro comportamento le più belle città d’arte del mondo resta.

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