L'Editoriale
Sabato 28 Dicembre 2024
Riportare a casa Cecilia: l’imperativo è questo
MONDO. Con Cecilia Sala si ripete il caso di Alessia Piperno, la blogger e scrittrice che rimase nelle carceri iraniane sino a quando, dopo 45 giorni, il governo di Roma non riuscì a tirarla fuori dall’inferno di Evin, lo stesso dove si trova ora la Sala.
Cecilia è stata fermata il 19 dicembre mentre si recava all’aeroporto di Teheran per fare ritorno in Italia per le festività natalizie: era entrata nel Paese degli Ayatollah ancora una volta per raccontare il dramma delle ragazze iraniane, costrette a indossare un velo che odiano e rischiano il carcere, la tortura e spesso la morte se disobbediscono alla cosiddetta «polizia morale» che gira per le città con camioncini dove vengono gettati e rinchiusi i dissidenti. Cecilia, che conosce l’Iran molto bene, era andata anche controcorrente quando aveva raccontato una versione diversa a proposito di quella ragazza che si era denudata all’università, e per questo era stata accusata di sposare le tesi degli islamisti al potere.
Incarcerata senza un capo d’accusa
Questo per dire che una giornalista di razza come lei non aveva timore di raccontare storie anche diverse dal mainstream pur di essere fedele ai fatti e alle notizie. Adesso che è stata incarcerata senza un capo d’accusa, e probabilmente per ritorsione per certi arresti operati in Italia di presunte spie iraniane presenti sul nostro territorio, il governo sta facendo di tutto per farla uscire in fretta, come lei stessa si è raccomandata nelle due brevi telefonate che le è stato concesso di fare alla famiglia. E mentre Giorgia Meloni prudentemente tace, tutti i ministri, ma soprattutto il responsabile degli Esteri Antonio Tajani, hanno raccomandato alla stampa la massima discrezione in questa fase delicatissima (in cui pure qualcosa si muove come dimostra la visita in carcere della nostra ambasciatrice in Iran Paola Amadei) per non compromettere le trattative in corso.
«Serve un’azione diplomatica e politica»
Come ha spiegato il ministro della Difesa Guido Crosetto, «serve un’azione politica e diplomatica» e non «lo sdegno popolare» e «il coinvolgimento della opinione pubblica occidentale» ben sapendo che essa riceve il più smaccato disprezzo da parte degli ayatollah. La frase più forte la si è letta nell’editoriale di Claudio Cerasa, direttore de «Il Foglio», il giornale cui collabora Cecilia Sala, quando ha scritto che «l’Iran è un Paese in cui l’informazione viene soffocata a colpi di repressione, di minacce, di intimidazioni, di violenze, di detenzioni a danno dei giornalisti».
Grandi giorni di incertezza a Teheran
Ma nessun politico ha seguito la strada dell’invettiva - a parte un «arresto inaccettabile» detto da Crosetto – proprio perché non bisogna intralciare il lavorio della diplomazia. Senza dimenticare che a Teheran si vivono giorni di grande incertezza e anche di caos: la caduta della Siria di Assad è una grande sconfitta per i komeinisti e la «Guida suprema» Kamenei sembra in difficoltà nell’affrontare e domare il profondo malcontento dei giovani ufficiali della Guardia della Rivoluzione Islamica che rinfacciano al regime e al vertice militare di aver abbandonato Assad al suo destino provocando così un terribile colpo alla strategia iraniana di dominare la regione, dando armi attraverso il corridoio siriano ai terroristi di Hamas a Gaza, e degli Hezbollah in Libano, completando con gli Houti dello Yemen la linea della «resistenza anti-israeliana».
Le agitazioni nelle forze armate e il dissenso delle masse giovanili, represso con sempre maggiore ferocia, potrebbero portare ad una destabilizzazione del regime. Ecco la spiegazione di quel «fate in fretta» detto da Cecilia Sala, ben cosciente del periodo di turbolenze sanguinose che potrebbe aprirsi in quei territori.
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