L'Editoriale
Lunedì 14 Novembre 2022
Riforme, precedenza alla legge elettorale
Il commento. Nel suo intervento alle Camere, Giorgia Meloni, tra i vari punti d’azione per realizzare un profondo cambiamento della politica italiana, si è soffermata sull’esigenza di realizzare una svolta «presidenzialista».
Non ha indicato a quale tipo di presidenzialismo intenda fare riferimento, rimarcando soltanto che questa scelta si rende indispensabile per superare l’annosa questione dell’instabilità dei governi. Consapevole che su quest’ultimo aspetto vi può essere ampia convergenza in Parlamento, ha sottolineato l’intenzione di «aprire alle opposizioni sul modo in cui riformare la Costituzione». Emanuele Prisco, che da tempo sta elaborando questo tema per conto di FdI, ha specificato alla stampa che «la formula della riforma verrà declinata nel corso del dibattito parlamentare sperando in una maggioranza la più ampia possibile».
Per quanto solida potrà essere questa maggioranza, non sarà mai in grado di raggiungere i due terzi necessari per cambiare la seconda parte della Costituzione direttamente in Parlamento e, quindi, si renderà necessario ricorrere al referendum costituzionale. Ebbene, ogni qualvolta si è tentato di modificare in senso ampio la seconda parte della Costituzione, come nei due ultimi casi delle riforme di Berlusconi e Renzi, per molti aspetti apprezzabili, il giudizio degli elettori è stato univoco nel respingerle. Quando, invece, si è agito su singoli punti, come nel più recente caso della abbastanza discutibile diminuzione del numero dei parlamentari, la risposta dell’elettorato con il referendum confermativo è stata largamente positiva. Spetterà al Parlamento valutare se il Presidenzialismo sia la ricetta giusta per il nostro Paese e, più in particolare, approfondire verso quale modello di presidenzialismo si vorrà andare: quello all’americana, alla francese, alla tedesca e così via.
Proprio su questi aspetti le varie forze politiche hanno già manifestato posizioni molto diverse. I più aperti alla discussione sul presidenzialismo appaiono Calenda e Renzi. Quest’ultimo, in particolare, come sostenitore della attuale legge per l’elezione dei sindaci ha avanzato la proposta del «sindaco d’Italia». Su tutt’altra posizione si sono schierati il PD e il M5S, che hanno minacciato barricate pur di contrastare qualunque forma di presidenzialismo. Letta e Conte sono stati una volta tanto concordi sull’opportunità di risolvere la questione dell’instabilità dei governi attraverso l’istituto della «sfiducia costruttiva». Questo istituto, introdotto in vari Paesi (Germania, Spagna, Belgio, Ungheria, Polonia, Slovenia, Albania, Lesoto, Israele), prevede l’impossibilità da parte del Parlamento di votare la sfiducia al governo in carica se, contestualmente, non concede la fiducia a un nuovo esecutivo.
Anche nella coalizione al governo non mancano i distinguo. Secondo alcuni esponenti a lei vicini, Giorgia Meloni preferirebbe il modello francese sul quale può trovarsi d’accordo con Berlusconi il quale, però, vorrebbe cogliere l’occasione per pervenire alla separazione delle carriere in magistratura. Salvini, che sente la forte spinta dei governatori del suo partito verso l’autonomia delle Regioni, al termine della campagna elettorale ha dichiarato che «il sistema presidenziale deve essere attuato con un sistema federale che dia equilibrio ai poteri centrali forti». In questo, si mostra in linea con l’organica riforma costituzionale elaborata a suo tempo dall’ideologo Gianfranco Miglio il quale però, diversamente da Salvini, era assai distante da logiche «sovraniste», prefigurando «un’Italia federale in un’Europa federale».
Nel corso di un recente convegno organizzato dalla 24 Ore Business School, Giuliano Amato si è mostrato scettico sull’avvio di una stagione all’insegna delle «grandi riforme», affermando che sarebbe più giusto e opportuno modificare «in primis» l’attuale legge elettorale, di tipo «maggioritario», la quale impone coalizioni che vincono le elezioni, ma poi non riescono a governare. In questa direzione si è mossa anche, nel suo applauditissimo discorso di apertura della XIX legislatura, Liliana Segre: «Se tutte le energie spese in questi anni per modificare la Costituzione fossero state utilizzate per attuarla saremmo in un Paese diverso e più giusto».
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