Riflessi olandesi sull’Europa e l’Italia

LE ELEZIONI. La vittoria elettorale di Geert Wilders in Olanda avrà ripercussioni su molti tavoli della politica europea e dei singoli Paesi partner, Italia compresa.

Non è ancora chiaro se il bizzarro signore dai capelli tinti color platino riuscirà a formare il governo, dal momento che non ha la maggioranza assoluta e nessuno si vuole alleare con lui, ma certo la sua inaspettata affermazione politica, tutta ai danni del centrodestra del premier uscente Rutte, fatalmente condizionerà la politica estera olandese. Wilders ha vinto con una linea anti-immigrati, islamofoba, simpatizzante per Putin, contraria ad aiutare l’Ucraina e ostile all’Europa tanto da proporre l’uscita dei Paesi Bassi dall’Unione, e sprezzante nei confronti del Sud del Continente («Non un euro all’Italia» era un suo slogan ai tempi del varo del Pnrr).

Il populismo di destra olandese ha vinto mentre suoi simili, come gli spagnoli di Vox e i polacchi del Pis, sono stati sconfitti, e questo dice che il populismo non necessariamente è destinato a diventare egemone nell’Unione e nella prossima legislatura europea, quella che scaturirà dalle elezioni del giugno 2024. Però le grandi famiglie politiche continentali devono prendere le misure di ciò che sta accadendo e che potrà accadere l’anno prossimo. Senza dimenticare le conseguenze politiche nazionali: italiane, per esempio.

Uniti nel governo, i partiti di centrodestra italiani sono divisi in Europa. Al Ppe aderisce la sola Forza Italia che considera gente come Wilders semplicemente «impresentabile» ( parola usata dal capo dei Popolari europei, il tedesco Weber, e ripresa dagli azzurri italiani) alla stessa stregua dell’Alternative fur Deutschland e del Rassemblement di Marine Le Pen. Ma tutti e tre i destri «impresentabili» sono alleati di Matteo Salvini, che punta alle prossime elezioni a costruire un grande gruppo parlamentare sovranista proprio con quei tre soggetti, e ora che Wilders ha vinto le sue elezioni nazionali (tra l’altro umiliando non solo il conservatore Rutte ma anche il progressista Timmermans, l’ideologo della svolta «green» della Commissione di Ursula von der Leyen) questa prospettiva non potrà che rafforzarsi. D’altra parte, il gruppo dei «Conservatori e Riformatori», di cui Giorgia Meloni è stata presidente fino a poco tempo fa, raduna proprio gli spagnoli di Vox e i polacchi del Pis. L’obiettivo dichiarato dell’Ecr è di allearsi con il Ppe magari per sottrarre quest’ultimo dall’abbraccio con i socialisti dell’Spd con cui oggi forma la Commissione von der Leyen. Prospettiva in realtà che proprio le sconfitte spagnole e polacche hanno indebolito.

Queste diverse collocazioni dei tre partiti al governo in Italia hanno provocato più volte delle polemiche soprattutto tra Meloni e Salvini, polemiche che vanno inquadrate nella gara elettorale tra Fratelli d’Italia e Lega. Ora che il fronte europeo di Meloni si è indebolito e quello di Salvini rafforzato, c’è da immaginare che queste discussioni si riaccenderanno e diventeranno sempre più polemiche man mano che si avvicinerà il momento del voto. È del tutto improbabile che la cosa abbia delle ripercussioni sulla stabilità del governo, tuttavia segnalano uno stato di tensione permanente che bene non fa.

Cosa che si capisce anche da piccoli segnali, come la velocità con cui la Lega ha «scaricato» il ministro dell’Agricoltura Lollobrigida dopo l’incidente del treno ad alta velocità in ritardo fatto fermare per consentire al cognato di Giorgia Meloni di scendere e proseguire con un’auto di servizio. Piccole cose su questioni perlopiù gonfiate che tuttavia rivelano il retrobottega della coalizione al potere. In giugno potrebbero trasformarsi in fuochi d’artificio.

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