Ricordare le foibe
imperativo politico

La tragedia delle foibe, gli inghiottitoi carsici dove furono gettate migliaia di vittime (spesso ancora vive), simbolo dell’odio e della barbarie sanguinaria che caratterizzò il dopoguerra nell’Adriatico Orientale, ha rivelato la natura repressiva e totalitaria del regime di Tito, in un clima di anarchia e resa dei conti che caratterizza i finali delle guerre. Quella memoria di sofferenza va tramandata per rendere omaggio a tante povere vittime e perché questo abominio non si ripeta. Da destra si è tentato di farne quasi un ambiguo contraltare della Giornata della memoria delle vittime della Shoah, come denunciarono gli storici Angelo Del Boca e Giovanni Gentile.

L’intento del benaltrismo legato alle tragedie è evidente: se ci furono vittime a destra come a sinistra allora tutti i carnefici sono uguali e dunque non ci sono carnefici, anzi siamo tutti carnefici, vengono attenuate le responsabilità in un gioco a somma zero. Un tentativo gravissimo che peraltro finisce per ledere anche l’unicità e la sacralità dell’Olocausto ebraico, il genocidio di un popolo che va tramandato senza accostamenti fuorvianti.

Ecco perché ricordare quella tragedia ha un altissimo valore simbolico. Lo hanno fatto ieri due rappresentanti della democrazia moderna, il presidente della Repubblica italiana Sergio Mattarella e il suo omologo sloveno Borut Pahor, che si sono incontrati nella caserma del Reggimento Piemonte Cavalleria a Villa Opicina, sul Carso triestino.

Entrambi uniti nel ricordo di una ecatombe umanitaria – frutto di abominio ideologico, etnico e nazionalista. Tra le vittime delle foibe oltre a moltissimi dirigenti e membri del Partito nazionale fascista figurano anche ufficiali, funzionari e dipendenti pubblici, insegnanti, impiegati bancari, sacerdoti come don Francesco Bonifacio, studenti come Norma Cossetto, orribilmente seviziata, stuprata e uccisa dopo un’agonia infinita, tutti cittadini senza tessera legati solo da radici comuni a quelle terre e persino partigiani e antifascisti autonomisti fiumani.

Anche la foiba di Basovizza, sull’altopiano carsico, luogo di esecuzioni e di occultamento di duemila cadaveri, fu dichiarata monumento nazionale l’11 settembre 1992.

L’evento ha un grande valore storico: Pahor è il primo presidente di uno dei Paesi nati dalla disgregazione della ex Jugoslavia a commemorare le vittime italiane delle foibe. Un momento particolarmente toccante nel corso della cerimonia è stato quando i due presidenti si sono dati la mano, dopo essersi avvicinati alla corona di fiori che due corazzieri avevano deposto pochi istanti prima. Un gesto di altissimo valore simbolico, più di un abbraccio. Sono i fratelli a tenersi per mano nei momenti di dolore. E in quel momento i cittadini sloveni e quelli italiani erano fratelli.

Quel gesto è stato accompagnato da una precisa richiesta di un’adeguata riflessione storica, «una ricerca seria e approfondita – libera come deve essere la ricerca storica, non la ricerca dei governi ma degli studiosi, sui fatti, sulle realtà, su ciò che la documentazione e i fatti presentano e suggeriscono – è molto importante e va incoraggiata per completare quella svolta che ha fatto uscire dal cono d’ombra la drammatica vicenda dell’esodo degli esuli dalle vostre terre». Mattarella allude al grande esodo che costrinse centinaia di migliaia di profughi italiani a lasciare la casa e gli affetti per finire in Italia (erano i «siriani» di allora, dovrebbero servirci da ammonimento, ma nessuno ormai li ricorda). Celeberrimo il «treno della vergogna», il convoglio ferroviario che nel 1947 trasportò da Ancona i deportati di Pola, carico di esuli, a torto definiti appartenenti al partito fascista grazie a un’operazione di controinformazione (le fake news di allora), su cui si scateneranno le invettive e le infamie più brutali. Il latte destinato ai bambini malnutriti e disidratati del convoglio venne gettato sui binari della stazione di Bologna per dileggio.

Dietro quella stretta di mano, dunque, c’è una richiesta di giustizia e di approfondimento della memoria che non può che appartenere alla storia, in modo da rendere quella vergogna incancellabile e trarne ammonimento per un futuro di pace e di democrazia.

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