Resa dei conti
Nei 5 stelle
il movimento
si fa partito

Chi di anti-partitismo ferisce, di partitismo perisce. Non è il funesto vaticinio uscito da un qualche epigono della Sibilla Cumana. È più semplicemente lo sbocco inesorabile della lotta condotta nel nome di «morte ai partiti», condannata paradossalmente a sposarne la causa. A quale esito, infatti, sta arrivando il M5S dopo la cura Conte se non a una sua integrazione nel denigrato mondo dei partiti? L’avvocato che fu del popolo doveva riportare a nuova vita un Movimento ormai tramortito per le peripezie sofferte a seguito delle continue correzioni (inversioni?) di linea politica. Con grande sorpresa - o meglio, con scandalo del fondatore - è arrivato alla conclusione che il Movimento non ha più possibilità di riprendersi. Unica alternativa: dar vita a una nuova creatura. Peccato che la proposta sia subito parsa irricevibile al padre della prima.

Era movimento e si appresta a diventare partito. Era portatore della buona novella con cui si diceva: «Sta per aprirsi una nuova stagione della democrazia», quella della «buona politica», e si sta perdendo nella grigia routine di un parlamentarismo da esso stesso screditato. Si affidava alla guida di due visionari - Grillo e Casaleggio padre - che prefiguravano un tempo felice in cui non ci sarebbe stato più bisogno di votare, di conferire cioè mandati truffaldini a dei professionisti della politica, e ora si propone di confermare gli eletti, di insediare una propria nomenklatura in sfregio al sacro principio dell’«uno vale uno». Demandava ogni decisione alla consultazione degli iscritti tramite la piattaforma Rousseau e la piattaforma è stata bandita.

I nodi sono venuti al pettine. Per adeguare statuto, codice etico, assetto di governo del Movimento allo standard di una forza parlamentare, Conte ha preso sul serio l’incarico affidatogli. La bozza di statuto da lui predisposta ridisegna radicalmente i poteri, sulla falsa riga di qualsiasi altro partito. Linea politica, comunicazione, nomine, candidature a cariche elettive: tutto il potere reale viene attribuito al capo. Apriti cielo. Grillo, formalmente solo «garante», ma che di questa carica dalle attribuzioni indefinite ha fatto un uso assai disinvolto, avocando a sé tutte le decisioni più importanti, ha lanciato il suo altolà: «Io sono il garante, non un cog…!». Era disposto ad accettare che la sua creatura fosse proprietà personale finché lo era della sua persona, non di un avvocato qualsiasi uscito dal cappello di Bonafede. Il M5S andava bene anche quando era bi-personale, ossia una diarchia dei magnifici due, Gianroberto Casaleggio e lui stesso.

Né gli basta ora che, a norma di statuto, non sia escluso del tutto dalla plancia di comando e che il futuro capo decida sempre «d’intesa» col garante. «Il mio movimento - Grillo è sbottato - si è trasformato nel partito personale di Giuseppe?». Non sia mai. Grillo si tiene ben stretto logo e nome del Movimento. Può fare il Cincinnato, può fare «un passo di lato», ma quando decide di parlare non ce n’è per nessuno. Non è stato forse proprio lui a imporre ai suoi i maggiori strappi del Movimento? Aveva promesso «mai al governo con nessuno» e ha dato il via libera al governo con tutti: con la Lega (Conte I), con il suo contrario, il Pd, «il partito di Bibbiano» (Conte II), infine con «il banchiere di Dio» (Draghi).

Non è chiaro cosa divida politicamente Grillo da Conte. È chiaro solo che, se lui è l’Elevato, tutti gli altri non possono che essere sotto di lui, anzi, che non potrebbero letteralmente esistere. Non a caso si chiamano Grillini.

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