L'Editoriale
Martedì 17 Settembre 2019
Renzi si sfila e tiene
il governo in bilico
Per la seconda volta da agosto a oggi Matteo Renzi è riuscito a tornare al centro della scena da cui tanti avversari, il primo dei quali è lui stesso, lo hanno allontanato con suo grande sdegno. E questo perché il «fantasma» della scissione renziana del Pd che si agita da mesi tra Roma e Firenze finalmente si appalesa con diverse interviste e la presenza dell’interessato a Porta a Porta, luogo deputato alle solennità repubblicane quale è la nascita di un nuovo partito, ovemai qualcuno ne sentisse la necessità.
A seguire Renzi nel nuovo partito sarebbero una ventina di deputati e un gruppetto di senatori, lui dice tra i dodici e i quindici, compreso un rinforzino con un paio di profughi provenienti delle sponde di Forza Italia. Parliamo di una operazione che in realtà è scattata da tempo: altrimenti che senso avrebbe avuto mettere i piedi in tutta Italia centinaia di «comitati civici» (affidati ai fedelissimi Scalfarotto e Rosato, quello del Rosatellum) che hanno finora lavorato in totale autonomia dal Pd e con l’aria di chi abbia già deciso di metter su casa in proprio? Il problema era solo quando dare l’annuncio.
La domanda che gira nei cosiddetti palazzi della politica, nelle redazioni e tra gli addetti ai lavori sui social è: che senso ha questa operazione? Solo un fatto psicologico, come insinuavamo malignamente noi al comincio di questo articolo? La psicologia con Renzi c’entra sempre, ma non basta a spiegare l’iniziativa. Che appare a prima vista inspiegabile perché solo poche settimane fa, nel mezzo della crisi di governo, proprio Renzi, riprendendo in mano lo scettro del comando, ha trascinato – con una piroetta veramente circense – il Pd ad allearsi con i Cinque Stelle. È stato lui il primo a indicare la soluzione del «tutti contro Salvini» per salvare la vita della legislatura consentendo a Conte di non dismettere la livrea di presidente del Consiglio. E allora, perché andarsene dal Pd dopo aver piegato il segretario Zingaretti (che voleva andare a votare) ad allearsi con Di Maio ? La risposta la fornisce Renzi in persona: con un manipolo di deputati e senatori a lui fedeli Renzi dispone in proprio, senza discutere con nessuno, dei numeri necessari a mandare avanti il governo o, viceversa, sufficienti per farlo cadere. Quindi è come se lui si mettesse in tasca la chiave di palazzo Chigi conquistando così un potere di veto determinante: «Sono risolutivo».
Poi c’è un altro aspetto dell’operazione. Renzi se ne va con i suoi (non tutti, ci sono defezioni importanti: Guerini, Delrio, Lotti, ecc.) che sono moderati, centristi ex democristiani, ex Margherita, ecc. proprio mentre nel Pd tutto è pronto per far rientrare Bersani e D’Alema che se ne andarono – con scarsa fortuna, in realtà – proprio in polemica con Renzi allora segretario. Dunque è come se la creatura che fu di Veltroni, che metteva insieme ex centristi ed ex sinistrorsi, si stia scindendo nei suoi componenti originari. Se avessimo la prova che Renzi e Zingaretti si sono segretamente messi d’accordo per la separazione, potremmo dire che così da una parte il Pd di Zingaretti cerca di riportare in casa i voti di sinistra in libera uscita, magari nei Cinque Stelle; mentre dall’altra parte Renzi va alla ricerca dei voti moderati, di chi non vuole votare un ex comunista ma neanche Salvini ed è ormai rassegnato sulla sorte di Forza Italia. Naturalmente si tratta di capire quanti voti sia davvero in grado di raccogliere nelle urne questa nuova creatura. Questo però lo vedremo più in là, quando andremo a votare. Per il momento il gioco si fa in Parlamento, e Renzi si è ripreso il pallino conquistando sul campo l’antico nomignolo fanfaniano: il «Rieccolo».
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