Regioni e Ue verso il voto, colpi bassi tra alleati

ITALIA. Più si avvicinano le urne, più si complica il gioco tra i partiti della maggioranza dove si acuisce la gara tra Giorgia Meloni, intenzionata a rafforzare la sua leadership, e i suoi alleati: Matteo Salvini che deve recuperare terreno almeno fino al 10% dei voti e Forza Italia che lotta per un futuro politico da riconquistare.

La partita sulle regionali (cinque governatori da rieleggere a partire da febbraio) e quella sulle Europee di giugno si sta intrecciando pericolosamente e, dietro i sorrisi a favore di fotografi e telecamere, non mancano colpi bassi e sgambetti.

All’ordine del giorno ci sono, da una parte, l’ipotesi di candidatura dei tre leader di centrodestra per il Parlamento di Strasburgo e dall’altra la spartizione dei candidati-governatori. Andiamo con ordine e cominciamo da quest’ultima faccenda che si sta focalizzando in Sardegna, la prima regione che voterà.

Matteo Salvini, in ossequio alla regola secondo cui si dà una chance di rielezione al governatore uscente, ha ricandidato il leghista Solinas. Viceversa Fratelli d’Italia, volendo modificare un equilibrio di forze che nelle regioni ormai è anacronistico (FdI, partito di maggioranza, ha tre governatori, la Lega, che sta sotto il 10%, ne ha cinque e Forza Italia ben quattro), scarta Solinas e propone Paolo Truzzu, sindaco di Cagliari e considerato un brillante esponente della cosiddetta «generazione Atreju».

I due sono già in campo, benedetti dai rispettivi capi e, se non si vuole che si scateni una gara fratricida, bisogna trovare un accordo: per il momento però «non è aria», come direbbe Giorgetti. «Truzzu faccia un passo indietro» intima la Lega, «Neanche per sogno» replica il ministro Lollobrigida. Non è solo una questione di principio: sostenendo che l’uscente va sempre ricandidato, Salvini guarda anche al «suo» Veneto che voterà nel 2025 e punta ad ottenere il terzo mandato per il votatissimo Luca Zaia: vuole, da una parte, mantenere in Regione un forte concorrente alla leadership e dall’altra, impedire a FdI di coltivare tentazioni, già manifestate, di conquistare la Serenissima. Sul terzo mandato peraltro Meloni è apparsa possibilista. Va considerato che la cosa agita anche il Pd (Bonaccini, Emiliano e De Luca, arrivati anche loro al traguardo, vorrebbero rimanere al loro posto, Schlein è contraria).

Se Zaia sapesse che la sua strada in Veneto è sbarrata dall’impossibilità di un terzo mandato nel 2025 o da dispute di coalizione, probabilmente a giugno si dimetterebbe per candidarsi al Parlamento europeo ed è presumibile che riceverebbe la solita barca di voti. Probabilmente è anche per questa ragione che Salvini ha annunciato di non volersi presentare a Strasburgo: «Resto a fare il ministro e il segretario, mi basta» ha detto con un sottinteso sarcasmo verso Giorgia Meloni che invece alla candidatura ci pensa eccome.

Potrebbe infatti essere il momento magico per affermare definitivamente la sua leadership sulla coalizione, personale e di partito, sfondando il tetto del 30 per cento. In questo caso, se fosse in pista, Salvini avrebbe due temibilissimi avversari: l’alleata-competitor Meloni e l’amico-nemico di partito Luca Zaia. Meglio evitare la corsa, evidentemente.

Peraltro la decisione del leader leghista non è stata concordata con i suoi due alleati nonostante che finora si fosse detto «decideremo insieme cosa fare». E Tajani aveva aggiunto: «O ci candidiamo tutti e tre, o nessuno». Le ultime parole famose: in realtà ognuno farà come vuole e si comporterà secondo i suoi calcoli personali e di partito.

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