Regioni e terzo mandato, quel bisticcio scompagina coalizioni e partiti

ITALIA. De Luca e Zaia non sono disposti a rinunciare alla candidatura. Rischio fratture nel centrodestra e nel centrosinistra.

Le riforme istituzionali, che da ormai un quarantennio arrovellano il dibattito tra i partiti (senza che riescano, è bene ricordare, a cavare un ragno dal buco) non hanno mai appassionato gli italiani. Troppo ingegneristiche per essere comprese, troppo astratte per coglierne l’utilità, troppo divisive per non suscitare perplessità e smarrimento. C’è il pericolo, perciò, che sfugga all’attenzione dell’opinione pubblica il bisticcio insorto tra e nei partiti a proposito del limite dei due mandati posto ai presidenti di Regione. Una materia relativa agli assetti istituzionali - come si diceva - da addetti ai lavori che risulta indigesta ai comuni mortali. Entrare nel merito delle ragioni addotte da favorevoli e contrari alla misura ci farebbe finire in un ginepraio di considerazioni e valutazioni che è meglio lasciare ai contendenti. Meno macchinoso e non meno importante è invece porsi la domanda di quale sia l’impatto politico che il braccio di ferro in atto tra i due fronti opposti può scatenare. Non è una questione da poco, perché lo scontro accesosi minaccia di mettere a soqquadro gli equilibri interni delle coalizioni e di non pochi partiti, e dei più importanti.

La situazione in Campania e in Veneto

La contesa si appunta su due Regioni, Campania e Veneto. Investe nello specifico Pd e Lega e, di riflesso, entrambe le coalizioni: minoranza e maggioranza. I governatori De Luca e Zaia non sono disposti a rinunciare alla candidatura, infrangendo in tal modo il vincolo dei due mandati, che le rispettive parti non sono per nulla intenzionate a rimangiarsi.

Si profila il pericolo concreto di una frattura all’interno sia del Pd che del centrodestra. Schlein rischia di perdere la Campania nonché di veder sorgere con la candidatura autonoma di De Luca un Terzo polo; il che metterebbe a repentaglio il progetto del campo largo, con tutte le ripercussioni che ne deriverebbero nei rapporti interni alla coalizione di centrosinistra.

Il problema nel centrodestra

Ma chi deve temere maggiormente dalla contesa apertasi sul problema del terzo mandato è il centrodestra. La Lega non intende rinunciare a uno dei presìdi più importanti del suo insediamento territoriale nel Nord, culla dell’originaria Liga Veneta. Da parte sua, FdI vanta un primato elettorale sugli alleati anche nel Veneto e aspira conseguentemente a ottenere la guida di almeno una Regione settentrionale che sino ad oggi gli manca. Ma c’è una seconda questione che insidia specificatamente il partito di Salvini. L’alzata di scudi dei leghisti veneti, decisi a conservare la Regione che è insieme fondamento della loro identità e motivo del loro orgoglio di amministratori capaci, minaccia di aprire una falla non solo nella coalizione di centrodestra, ma nello stesso partito. Non è un mistero per nessuno che nei leghisti di Veneto e Lombardia covi una grande insofferenza nei confronti della svolta imposta dal loro segretario, che si è battuto per fare della Lega una forza nazionale. Considerano, infatti, tale progetto una sorta di tradimento della loro storia. Il Carroccio è nato ed è cresciuto come «sindacato del Nord» e tale è rimasto fino a quando è diventato segretario Salvini, peraltro con magri risultati.

Al pericolo di sovvertimento del centrodestra, se ne aggiunge – come si vede – un secondo, che investe specificatamente la Lega. Sono due punti dolenti della coalizione che possono creare un vulnus profondo.

Meloni è chiamata per la prima volta ad affrontare una questione che può aprire una falla rovinosa nella sua coalizione. Vedremo se saprà esercitare la leadership conquistata sul campo e trovare una soluzione al problema che non lasci dietro di sé dissapori e ruggini destinati a logorare comunque l’alleanza.

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