L'Editoriale
Lunedì 12 Agosto 2019
Regìa della crisi
a Mattarella
La sfiducia al governo da parte di uno dei più potenti esponenti dell’esecutivo stesso è stata la mossa culminante di un’escalation, divenuta dirompente nelle ultime settimane. Sotto il profilo strettamente formale che un governo imploda senza essere stato preventivamente battuto in Parlamento non può essere considerata un’anomalia e non è nemmeno, nella storia della Repubblica, una novità. Già in passato – e più volte – i contrasti interni alla maggioranza che governava hanno condotto a una crisi extraparlamentare.
Non è, quindi, tale circostanza a preoccupare in un contesto democratico, nel quale l’esistenza di conflitti, anche interni alle forze di governo, fa parte della fisiologia del sistema. Sono, tuttavia, le modalità attraverso le quali si è arrivati alla situazione presente a suscitare legittime perplessità. Il ministro dell’Interno ha aperto la crisi, chiedendo che il presidente del Consiglio si dimettesse. Pretesa politicamente odiosa e costituzionalmente inaccettabile, dimostrazione ennesima di noncuranza delle regole (scritte e non scritte) del «galateo istituzionale». Bene ha fatto Giuseppe Conte a dichiarare irricevibile la proposta, confermando la sua volontà di presentarsi alla Camere per chiedere la fiducia. Un segnale di dignità personale e di correttezza istituzionale che va apprezzato.
La crisi di governo sembra avviata, salvo imprevisti, verso il binario naturale, che vede come elemento essenziale la verifica parlamentare della tenuta (o meno) della maggioranza sulla quale si regge l’esecutivo. Dopo tale passaggio - che al momento sembra avere come esito praticamente scontato la sfiducia al Governo - il bandolo dell’intricata vicenda passa, per dettato costituzionale, nelle mani del Capo dello Stato. A lui spetterà il compito di regia, già sperimentato nel momento della formazione dell’attuale governo. Le scelte da compiere non sembrano facili, né - in realtà - mai lo sono, perché anche nelle situazioni politicamente meno intricate sul Capo dello Stato incombe l’onere di fungere da arbitro e, nel contempo, di saper saggiamente verificare, nel contesto dato, quali siano le soluzioni che meglio preservano gli interessi generali. Il ruolo che la Costituzione affida al presidente della Repubblica, nella risoluzione delle crisi di governo, è tra i più delicati. Nella Carta costituzionale non sono specificate modalità di esercizio del potere presidenziali nel condurre le consultazioni. Tutto è rimesso alla prassi, costruita progressivamente nel tempo ad opera degli inquilini del Colle più alto.
È certo che Mattarella - come già fatto nella primavera dello scorso anno - sarà scrupolosissimo nel rispettare l’autonomia dei poteri spettanti alle Camere e al governo, riservandosi di valutare le opzioni migliori per risolvere la crisi. Tre sono gli scenari ipotizzabili. Il presidente della Repubblica può ritenere, dopo aver effettuato le consultazioni di rito, che non vi siano margini per una diversa maggioranza e, di conseguenza, chiedere al governo in carica di garantire il disbrigo dell’ordinaria amministrazione fino alle elezioni. Può, altresì, giudicare opportuno affidare questo compito a un governo «di scopo», il quale - dopo aver ottenuto l’approvazione parlamentare della legge di bilancio e di altri provvedimenti non rinviabili – rimetta il mandato e porti il Paese alle elezioni. In alternativa, Mattarella ha la facoltà di affidare un incarico (anche soltanto esplorativo) a una personalità che goda della sua fiducia, al fine di valutare se esista una diversa maggioranza per proseguire nell’attività di governo nell’attuale legislatura.
Il presidente della Repubblica «rappresenta l’unità nazionale». Formula che può apparire vaga, ma che nel tempo si è sostanziata di molte accezioni. Tra queste il ruolo di «garante» dell’equilibrio tra i poteri dello Stato. Connotazione di indubbio rilievo, alla quale va connessa, come la storia repubblicana ha certificato, l’intrinseca «politicità» del ruolo del Capo dello Stato, da intendere nel senso, più alto e nobile, di neutralità non disgiunta dagli opportuni apprezzamenti della situazione generale e degli interessi del Paese.
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