L'Editoriale / Bergamo Città
Lunedì 30 Agosto 2021
Reddito e lavoro
Goccia nel mare
Le ricadute sul mercato del lavoro del reddito di cittadinanza (rdc) a Bergamo, emerse dai dati pubblicati dalla Provincia, devono essere valutate (e ridimensionate) nel particolarissimo contesto di un territorio che sta segnando un vero e proprio record, e cioè una disoccupazione al 3%, tecnicamente piena occupazione. In un quadro del genere, è davvero difficile distinguere un posto di lavoro promosso dal contorto meccanismo del rdc da quello fisiologico. I 2.400 collocati al lavoro a Bergamo vanno parametrati ai quasi 34 mila ingressi complessivi nel solo trimestre aprile/giugno e, a livello nazionale, ai 606 mila posti in più nei soli primi 5 mesi del 2021, o ai 152 mila che secondo l’Agenzia risulterebbero occupati grazie al rdc.
Uno su 7 di quei 1,9 milioni che potenzialmente sarebbero avviabili al lavoro sui 3,7 milioni destinatari del sussidio. Ma molti analisti dubitano che si tratti di posti davvero dipendenti dal sistema rdc e tanto meno dalla trovata propagandistica dei cosiddetti navigator.
Il contributo di Bergamo è positivo, ma una goccia nel mare, giustificando quindi le forti resistenze al mantenimento di una misura inventata in fretta e furia per le elezioni, applicata per due terzi al Sud e che ha lasciato fuori un terzo di veri poveri e incluso un terzo di poveri finti, per non dire dei truffatori. Bandiera identitaria dei 5 Stelle, ora abbandonata dalla Lega, che pure la volle nel Conte 1, a costo di scandalizzare il Nord produttivo. Il reddito sussidiato (506 euro a Bergamo, 512 a livello Italia) è stato un incentivo al lavoro nero, come riferiscono gli operatori del turismo che in questa estate di ripresa faticano a trovare collaboratori disposti a rinunciare all’assegno per un posto a tempo in ristoranti ed alberghi. La misura é stata molto costosa, 20 miliardi in tre anni, aumentati di altri 4 causa Covid, ed è comprensibile che nell’agenda di settembre sia considerata uno dei nodi da sciogliere. Al Meeting di Rimini l’ha difesa solo Giuseppe Conte. Draghi ha sottolineato che la parte buona - lotta alla povertà - va comunque salvaguardata e in effetti non è facile, dopo tanta demagogia, cancellare qualcosa che incide sulla povertà, anche se solo dello 0,6% pre Covid. È venuto il momento di separare due cose che non stanno insieme: il sostegno del reddito per chi non ce la fa, anche con l’imposta negativa e le politiche del lavoro.
Del resto, su 3,7 milioni di beneficiari, più della metà dei soggetti proprio non possono, per età o disabilità, entrare nel circuito del lavoro e anche tra i quasi 2 milioni restanti, c’è un 72% che non ha titolo di studio e formazione. Non è certo il navigator, ora già un precario da prorogare, che può risolvere una questione del genere. E infatti oltre la metà di quelli che dovevano aderire al patto per il lavoro non sono stati neppure convocati, per non dire dell’avviamento, anziché al divano, a lavori socialmente utili, altra chimera.
La questione lavoro da un lato e la questione povertà dall’altro sono troppo serie e complicate perché siano lasciate ad un ministro del Lavoro che non aveva mai lavorato. Deve essere materia per le parti sociali, con la mano pubblica che finanzia strumenti reali di formazione e crescita, in un mercato in cui è scandaloso che molti settori imprenditoriali offrano posti che nessuno ricopre (anche con 3 mila euro mensili offerti da quella ditta di trasporti a centinaia di autisti introvabili). Quanto al sostegno contro la povertà, anche qui bisognerebbe ricorrere a chi se ne intende, come l’Alleanza contro la povertà, con Acli e Caritas in prima fila. Vi fece tardivo ricorso il Governo Gentiloni, con un troppo piccolo stanziamento, ma il meccanismo era quello giusto. Importante ora sarebbe soprattutto togliere di mezzo ideologia e strumentalizzazioni. Può sembrare un merito dei 5 Stelle aver almeno sollevato il problema, ma basta leggere il loro iniziale disegno di legge per cogliere qualcosa di molto diverso dalla generosità: il rdc come mezzo per costruire la decrescita felice. A tutti il minimo, in una società da figli dei fiori, un po’ sovietica e un po’ ipercapitalista, con solo l’Elevato a godersi i miliardi.
© RIPRODUZIONE RISERVATA