Redditi, l’Italia
ha bisogno di cure

Continua il trend in crescita del reddito delle famiglie italiane, ma restiamo ancora nettamente indietro rispetto al 2007 (anno considerato inizio della crisi economica) e con enormi differenze fra le diverse famiglie, con quelle della fascia più ricca che hanno percepito un reddito sei volte maggiore di quello delle famiglie della fascia più povera.

La fotografia che l’Istat ha fornito ieri sui nostri redditi familiari, un’immagine che si presenta subito ingiallita poiché fatta sui dati raccolti lo scorso anno e riferiti al 2017 (l’ultimo anno intero della passata legislatura, politicamente riferito ai mesi del governo Gentiloni, per intenderci), ci immortala con un lieve sorriso sulle labbra ma in uno scenario che presenta ancora rovine terremotate e qualche debole segnale di ricostruzione, soprattutto con evidenti i segni dei nostri endemici difetti.

Ma ecco i numeri: nel 2017 i redditi familiari netti medi sono stati pari a 31.393 euro, 2.616 euro al mese di potere d’acquisto per famiglia, con un incremento in termini reali dell’1,2% sull’anno precedente (quando l’incremento sul 2015 era stato del 2,1%), reddito reale il cui incremento sale all’1,7% se consideriamo però anche i redditi delle famiglie proprietarie di abitazione (alle quali vanno aggiunti gli affitti figurativi nel calcolare il reddito disponibile).

Con l’incremento del 2017 il gap rispetto al 2007 in termini reali resta in media dell’8,8% per il reddito familiare, con una contrazione che sale all’11,9% nel Mezzogiorno e si riduce progressivamente all’11% nel Centro, al 6,7% nel Nord-Ovest, fino al 6% nel Nord-Est. Questo primo dato disaggregato ci mostra la distribuzione asimmetrica dei dati italiani, con la maggioranza delle famiglie che ha percepito un reddito inferiore all’importo medio e il 50% delle famiglie che ha un reddito non superiore ai 25.426 euro, 2.120 euro al mese. La disuguaglianza dei redditi in Italia è maggiore rispetto alle differenze registrate negli altri grandi Paesi europei: siamo molto indietro rispetto a Francia e Germania e l’Italia occupa la ventunesima posizione nella graduatoria dei 25 Stati Ue per i quali è disponibile questo indicatore

Le differenze si scorgono anche per tipi di fonte del reddito: mentre i redditi da lavoro autonomo sono cresciuti in Italia nel 2017 del 3,1% quelli da lavoro dipendente sono diminuiti dello 0,5% (prima contrazione dal 2013). La prima considerazione è che gli autonomi riescono a intercettare i pur deboli segnali di ripresa prima degli altri lavoratori che subiscono invece gli effetti di una crisi industriale ancora marcata per assenza di politiche industriali adeguate. Altro dato significativo è quello sul costo del lavoro calato nel 2017 dell’1,2% per effetto della diminuzione dei carichi sul datore di lavoro (-1,8%).

Nel 2018, il 20,3% delle persone residenti in Italia (cioè circa 12,23 milioni di individui) è risultata a rischio di povertà, con un reddito netto equivalente nel 2017 inferiore a 10.106 euro (842 euro al mese); è un dato stabile rispetto al 2017 per le politiche a favore della popolazione a rischio povertà ed esclusione sociale della passata legislatura. I dati Istat confermano che il Mezzogiorno rimane l’area con la percentuale più alta di individui a rischio di povertà o esclusione sociale (45%), stabile rispetto al 2017 ma in crescita se consideriamo solo il rischio di povertà in aumento dal 33,1% nel 2017 al 34,4% nel 2018. Il carico fiscale delle famiglie è risultato costante.

L’immagine generale è quella di un Paese convalescente che necessita di cure e di attenzioni continue, senza alcuna distrazione in polemiche inutili.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

© RIPRODUZIONE RISERVATA