Rebus Libano, ecco perché l’invasione è un errore

MONDO. L’uccisione di Hassan Nasrallah, da trent’anni indiscusso leader politico di Hezbollah, ha rafforzato in molti la convinzione che un’invasione del Libano via terra da parte di Israele sia ormai alle porte. E aiutano a crederlo le dichiarazioni bellicose che arrivano dall’Iran.

In quest’ultimo anno, dalle stragi di Hamas il 7 ottobre 2023 ai bombardamenti sul Libano di queste settimane, passando per i massacri di Gaza, abbiamo visto succedere di tutto, anche ciò che credevamo impossibile. Nulla può quindi essere escluso in linea di principio.

La situazione reale, però, è sotto gli occhi di tutti. Israele, con le operazioni di intelligence, ha quasi azzerato la struttura di comando di Hamas (Ismail Haniyeh ucciso a Teheran, il successore Yahya Sinwar costretto a nascondersi a Gaza e forse anche lui morto), ha annientato quella di Hezbollah e ha intimidito gli iraniani (non dimentichiamo gli attentati affidati in outsourcing ai Mojaheddin del popolo), mostrando di poter colpire anche in casa loro. E ha creato il panico con i cercapersone e le radio fatte esplodere in Libano. Oltre a questo Israele approfitta di un altro fattore strategico: il dominio dei cieli, che gli consente di bombardare a tappeto ovunque lo ritenga necessario, con il numero allucinante di vittime civili che ben conosciamo e che le capitali occidentali, in altri casi così attente e facili allo sdegno, sembrano tollerare senza troppi problemi.

Ci si domanda quindi perché Israele, dopo un anno di guerre che gli hanno dato un simile vantaggio, dovrebbe lanciarsi in un’invasione del Libano che sarebbe comunque assai costosa in termini di uomini e di mezzi

Ci si domanda quindi perché Israele, dopo un anno di guerre che gli hanno dato un simile vantaggio, dovrebbe lanciarsi in un’invasione del Libano che sarebbe comunque assai costosa in termini di uomini e di mezzi. Anche perché l’annientamento della direzione politica e militare di Hezbollah può ora generare conseguenze che non riguardano solo lo scontro tra il movimento e lo Stato ebraico ma possono avere riflessi importanti sul futuro del Libano.

Un delicato equilibrio

Sfruttando il costante incremento demografico della popolazione sciita e il sostegno dell’Iran, Nasrallah era riuscito a fare di Hezbollah una componente determinante nella vita del Paese. Il Libano, è noto, deve gestire un delicato equilibrio etnico-religioso, con 18 confessioni riconosciute e una divisione dei poteri che prevede un presidente cristiano, un premier musulmano sunnita, un presidente del Parlamento musulmano sciita e così via. Ma non solo. Anche la società va per linee simili, per cui, per fare solo qualche esempio, gli sciiti controllano l’aeroporto internazionale di Beirut, i cristiani ortodossi il mercato dei medicinali, i musulmani sunniti sono forti nell’edilizia.

Con Nasrallah, Hezbollah era riuscito a inserirsi nella vita istituzionale del Libano, portando molti uomini in Parlamento, ma conservando una sorta di extraterritorialità grazie alla forza delle armi, che impediva qualunque intervento dei poteri legittimi dello Stato

Con Nasrallah, Hezbollah era riuscito a inserirsi nella vita istituzionale del Libano, portando molti uomini in Parlamento, ma conservando una sorta di extraterritorialità grazie alla forza delle armi, che impediva qualunque intervento dei poteri legittimi dello Stato.

La morte di Nasrallah, l’azzeramento dei vertici e i danni inferti al suo capace arsenale avranno effetti anche negli equilibri interni libanesi, offrendo non solo ai cristiani e ai sunniti, ma anche ai poteri democraticamente eletti, l’occasione di ridimensionare il ruolo di Hezbollah, soprattutto dal punto di vista del doppio ruolo di cui dicevamo.

Un’invasione del Libano rovinerebbe questa opportunità, mentre Israele avrà certo preso nota del fatto che i poteri legittimi del Libano nulla hanno fatto per aiutare Hezbollah, anzi. Bisogna sperare che Netanyahu e gli altri estremisti del suo Governo abbiano conservato un minimo di lucidità. Anche se lo spettacolo offerto dal premier israeliano all’Onu fa pensare a un leader obnubilato, forte solo dell’impunità che abbiamo deciso di concedergli.

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