Ragazza decapitata
Afghanistan sprofonda

Agli occhi dei suoi aguzzini, la colpa della giovane pallavolista Majhubin Hakimi era di non voler abbandonare lo sport, vietato alle donne perché facce e corpi non sono coperti. Così i talebani l’hanno decapitata, confermando la natura barbara del loro movimento, non cambiato rispetto ai cinque anni di potere precedenti (1996-2001). Majhubin faceva parte della nazionale giovanile dell’Afghanistan. A dare notizia del delitto, la sua allenatrice: è stato compiuto a inizio ottobre, ma la tragedia è emersa solo ora perché i talebani avrebbero trattenuto anche i familiari della vittima, costringendoli al silenzio. E pure questo dettaglio dice del clima di pesante repressione che grava su Kabul. Unanime la condanna dell’omicidio da parte della politica italiana ed europea. Ma delle giocatrici della nazionale giovanile, ha aggiunto l’allenatrice, solo due sono riuscite a scappare all’estero, mentre tutte le altre «sono state costrette a nascondersi» e i tentativi di trovare «aiuto da organizzazioni e Paesi internazionali non hanno avuto successo».

Nelle scorse settimane, una trentina di atlete della nazionale di volley dell’Afghanistan avevano già raccontato di temere violenze e rappresaglie da parte dei talebani per la loro attività sportiva, chiedendo alla comunità internazionale di aiutarle a lasciare il Paese. Una giovane si è salvata fuggendo di notte e arrivando a Roma, grazie alla collaborazione dell’ex commissario tecnico della nazionale italiana maschile di pallavolo Mauro Berruto, ora responsabile Sport nella segreteria del Pd.

Secondo un’altra versione Majhubin si sarebbe invece suicidata nell’agosto scorso: «In guerra, la verità è la prima vittima» diceva già Eschilo. Ma impiccagione pubblica e taglio delle mani ai ladri, divieto alle donne di lavorare e frequentare le università, uccisione di chi si ribella alle leggi fondamentaliste talebane sono i segni della deriva ormai inequivocabile. E non si muore solo in Aghanistan: una decina di profughi del Paese asiatico sono stati uccisi dal freddo nella terra di nessuno fra Bielorussia e Polonia (Varsavia sta costruendo una barriera lungo il confine), altri due stipati su un minibus alla frontiera tra Austria e Ungheria. Dodici Stati dell’Unione europea (Austria, Cipro, Danimarca, Grecia, Lituania, Polonia, Bulgaria, Repubblica Ceca, Estonia, Ungheria, Lettonia e Slovacchia) hanno chiesto alla Commissione Ue finanziamenti per erigere muri anti migranti in vista di massicci flussi di afghani. La risposta di Bruxelles è stata debole: «Sì, ma non con i nostri soldi».

Una sconfitta politica perché il nodo è come agire attraverso la diplomazia per ripristinare condizioni minime di vivibilità nei Paesi d’origine. Sarebbero almeno 550 mila i profughi scappati dall’Afghanistan, il 60% bambini. Il Fondo monetario internazionale stima che se superassero il milione, ospitarli dove si trovano ora costerebbe al Tagikistan 100 milioni di dollari, 300 all’Iran e 500 al Pakistan. Altre nazioni dell’Asia hanno dichiarato di non avere intenzione di accogliere rifugiati. Non c’è solo la violenza talebana dietro la fuga, ma anche una grave carestia e il Covid. Un rapporto di giugno del Programma alimentare mondiale segnalava già 14 milioni di afghani - oltre un terzo della popolazione - colpiti dalla fame. Secondo l’Unicef «almeno un milione di bambini rischia di morire per malnutrizione grave senza accesso alle cure mentre, anche prima dell’arrivo dei talebani al potere, circa 10 milioni in tutto il Paese hanno dovuto richiedere assistenza umanitaria per sopravvivere, mentre il sistema sanitario e i servizi sociali sono sull’orlo del collasso».

Gli studenti coranici sono sotto sanzioni internazionali per terrorismo (col blocco tra gli altri delle riserve di 9 miliardi di dollari della Banca centrale afghana, congelati negli Stati Uniti e in Gran Bretagna), fermi anche gli aiuti. A farne le spese è il popolo, mentre il nuovo potere di Kabul rimedia con il traffico di armi, droga e migranti, come evidenziato da un rapporto dell’Europol. Nel recente vertice di Mosca, presente una delegazione di talebani, Russia e Cina si sono dette pronte a operare per scongelare i fondi della Banca centrale di Kabul, chiedendo all’Onu di convocare la conferenza dei donatori per aiutare la ricostruzione dell’Afghanistan. A due condizioni: la creazione di un governo inclusivo e il rispetto dei diritti (affermazione peraltro generica).

Il tragico sacrificio della giovane pallavolista Majhubin Hakimi serva a scuotere le coscienze intorpidite della comunità internazionale, mettendo al centro il destino di un popolo e non in primis gli interessi geostrategici ed economici.

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