Raddrizzare un’economia tra le più diseguali

ITALIA. L’ultimo incontro annuale del World Economic Forum di Davos ha acceso i riflettori sulle disuguaglianze sottolineando che «sono state generate a livello globale da un potere economico fuori controllo e da un potere politico incurante delle fratture nelle nostre società».

«Seguendo i trend attuali, nel giro di un decennio potremmo avere una persona che possieda più di mille miliardi di dollari, ma ci vorranno oltre due secoli per porre fine alla povertà». Dal 2020 i cinque uomini più ricchi del mondo - Elon Musk, Bernard Arnault, Jeff Bezos, Larry Ellison e Warner Buffett - hanno più che raddoppiato in termini reali i propri patrimoni, che sono passati da 405 a 869 miliardi di dollari, a un ritmo di 14 miliardi di dollari all’ora. Mentre ciò avveniva, la ricchezza complessiva di quasi 5 miliardi di persone non ha mostrato alcun sintomo di crescita. Una situazione grave e degenerativa che dovrebbe oltremodo allarmare e fare agire adeguatamente i poteri pubblici mondiali, i quali appaiono al momento capaci solo di organizzare convegni autoreferenziali in cui parlarsi addosso. In molti Paesi si è ancora ben lontani dal restituire dignità e valore al lavoro, con scelte incisive sulla leva fiscale per appianare le diseguaglianze. Mancano, inoltre, iniziative per contrastare il potere di diffusi regimi monopolistici e per offrire maggiori tutele alla concorrenza.

L’economia italiana nel quadro mondiale

L’economia di casa nostra ben si inquadra in questo scenario globale. La relazione della Banca d’Italia del 31 maggio scorso disegna un quadro a tinte fosche della distribuzione delle ricchezze e delle diseguaglianze, evidenziando che la nostra economia è tra le più diseguali in Europa: «Si arricchisce chi ha di più, stagna il ceto medio e, soprattutto, si impoveriscono i più fragili». A fine 2023 in Italia il 10% più abbiente della popolazione deteneva il 60% della ricchezza netta complessiva, mentre il 50% più povero ne possedeva appena il 7%. Inoltre, rispetto al 2010 i più facoltosi hanno visto la propria quota crescere del 7%, mentre la classe media si è impoverita del 4,8%.

L’economia di casa nostra ben si inquadra in questo scenario globale. La relazione della Banca d’Italia del 31 maggio scorso disegna un quadro a tinte fosche della distribuzione delle ricchezze e delle diseguaglianze, evidenziando che la nostra economia è tra le più diseguali in Europa: «Si arricchisce chi ha di più, stagna il ceto medio e, soprattutto, si impoveriscono i più fragili»

La ricchezza di chi è già ricco è cresciuta del 29%, a fronte di chi vive in povertà assoluta che è quasi il 10% della popolazione. Questa condizione riguarda in prima istanza gli stranieri (30%) e le famiglie più giovani, che in molti casi ricorrono al sostegno finanziario dei propri familiari. Per contrastare le situazioni di maggiore indigenza il governo, una volta abolito il reddito di cittadinanza, in presenza di grandi difficoltà di bilancio ha introdotto alcune misure come l’assegno di inclusione e l’assegno unico universale che offrono sostegni limitati, certamente non in grado di dare dignità e speranza a troppe famiglie.

Come ridurre le diseguaglianze

Per quanto riguarda la riduzione delle diseguaglianze, tema a cui nessun Paese al netto della solita retorica ha finora attribuito centralità d’azione, il governo Meloni non ha certamente fatto eccezione. I suoi primi due anni sono stati caratterizzati da politiche del lavoro incapaci di ridimensionare il fenomeno della povertà lavorativa attraverso, ad esempio, l’introduzione di adeguati minimi salariali. Con la manovra 2025 il taglio del cuneo fiscale, già applicato in via temporanea nel 2024, è diventato a tutti gli effetti strutturale. L’intervento è certamente condivisibile, tenuto conto che oggi il nostro cuneo fiscale si attesta al 45,9%, tra i più alti nei Paesi dell’Ocse. Sono state anche avviate alcune riforme costituzionali di cui ben pochi avvertivano il bisogno, tra cui quella del premierato, ma non è stato dato fino ad oggi alcun peso alla necessità d’introdurre una riforma fiscale organica, incentrata sulla progressività che, unitamente a un incisivo recupero dell’evasione, sia in grado di dare equità ed efficienza al sistema impositivo italiano. In un contesto già di così alta problematicità economica, il rischio più grave ora sarebbe quello di non ascoltare i sempre più massicci segnali popolari di rabbia, stanchezza e crescente sfiducia verso le istituzioni. È dunque cruciale che la politica si ponga come obiettivo prioritario la tutela del benessere economico e sociale dei più fragili.

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