Quotazioni in altalena
per l’ipotesi giallorossa

Come ogni trattativa che si rispetti, anche quella avviata tra grillini e democratici ha i suoi alti e bassi. Tanto da far scendere e salire più volte nello stesso pomeriggio le quotazioni di un loro possibile accordo di governo da presentare martedì al capo dello Stato. Voci interessate continuano a dire che «l’accordo è chiuso». Altre invece si fanno sentire per dilatare perplessità, sospetti e incertezze. Dall’incontro tra le due delegazioni PD-M5S, avvenuto ieri a Montecitorio, è stata fatta filtrare una versione rassicurante: «incontro positivo», «non ci sono ostacoli insormontabili». Subito dopo le stesse fonti negavano la possibilità di un incontro a breve tra Zingaretti e Di Maio: una circostanza giudicata negativa.

Salvo che ieri sera si è diffusa la notizia di un colloquio tra i due leader in cui Di Maio avrebbe posto come pregiudiziale il mantenimento di Conte alla presidenza del Consiglio. Questo spiegherebbe il blog pomeridiano di Grillo in cui si rilanciava proprio il nome del presidente del Consiglio dimissionario, «un elevato».

Tutt’intorno si è continuato a discutere. È intervenuto per esempio Di Battista invocando su Facebook elezioni anticipate piuttosto che un accordo col detestato Pd. Dibba ha ricevuto quasi ventimila commenti dei militanti pieni di livore contro il dialogo con «il partito di Bibbiano», peraltro così definito da Di Maio una sola settimana prima della crisi di governo: «Noi mai col Pd, partito di Bibbiano». Il circolo dimaiano ha fatto subito sapere che l’intervento di Di Battista era «concordato». Sarà. Però poi anche Di Maio ha sentito il bisogno di alzare la voce e dire minacciosamente ai piddini: «O si fa come diciamo noi o salta tutto». Non si capisce se si riferisse al solo taglio dei parlamentari – su cui Zingaretti nicchia e prende tempo – o se invece in ballo ci sia una ben più attraente questione di poltrone. Nel frattempo è intervenuto clamorosamente anche Renzi. Il primo che nel Pd, con una giravolta strabiliante, ha invocato un accordo coi Cinque Stelle per evitare le elezioni, ha accusato Paolo Gentiloni di sabotare la trattativa e ha minacciato: «Così il partito non arriva intero al prossimo appuntamento». Proprio lui che nei mesi scorsi minacciava sfracelli e scissioni qualora l’allora neo segretario Zingaretti covasse in segreto il proposito di un’alleanza con i grillini: «#Senzadime» era l’hashtag più cliccato dai renziani su Twitter.

È sempre lo stesso fantasma della scissione che agita il sonno di Zingaretti il quale teme un doppio-triplo gioco del suo predecessore tutto teso a recuperare un ruolo e un potere di ricatto da esercitare mediante i tanti (ancora) deputati e senatori del Pd a lui fedeli e consapevoli che Zingaretti in caso di elezioni non li ricandiderebbe e li lascerebbe ai giardinetti. In tutto ciò, Salvini dall’esterno tifa perché grillini e democratici litighino e Di Maio torni al forno leghista. E per far questo gli offre la poltronissima di presidente del Consiglio (Conte no, proprio no). Di Maio potrebbe piroettare ancora una volta facendosi lusingare dall’idea di diventare capo del governo alla sua età e col suo curriculum? Chissà. Probabilmente lo frena il sospetto che quella di Salvini sia un’offerta avvelenata. Dopo una eventuale rottura col Pd, un successivo fallimento anche con la Lega porterebbe dritti dritti a quel che Salvini vuole: le elezioni, la vittoria della Lega e la sconfitta del M5S. Ecco dunque descritto per quanto umanamente possibile l’intreccio di queste ore da cui Mattarella spera che esca entro martedì una «soluzione chiara», «un governo che abbia la fiducia del Parlamento», un programma di legislatura.

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