L'Editoriale
Sabato 15 Gennaio 2022
Quirinale, il centrodestra si ricompatta su Berlusconi. Barricate del centrosinistra
Il vertice del centrodestra ha preso la sua decisione unitaria: alla presidenza della Repubblica candiderà Silvio Berlusconi, anzi gli chiederà di «sciogliere la riserva» sulla candidatura. Tutti d’accordo nonostante settimane di passione in cui è apparso evidente a tutti che Matteo Salvini e Giorgia Meloni consideravano l’ambizione del Cavaliere di salire al Quirinale come una specie di senile capriccio che non possono non assecondare, almeno formalmente e pubblicamente, per evidenti ragioni, salvo poi provare a fare altri giochi sotterranei. Insomma l’uno e l’altra speravano che Berlusconi non ci credesse davvero, a questa candidatura, ma che fosse appunto uno sfizio di fine carriera, magari il gioco tattico di chi vuole all’ultimo momento sfilarsi per fare il king maker.
E invece no, Silvio vuole sul serio diventare il Capo dello Stato, il successore di Mattarella, Napolitano, Ciampi, l’odiato Scalfaro…E così il vertice di ieri sera nella lussuosa villa che il Signore di Arcore ha acquistato da Franco Zeffirelli, ha sancito per iscritto che la coalizione formata da Forza Italia e Lega, al governo, e Fratelli d’Italia, all’opposizione, ritrova la propria unità nella partita più importante di tutta, quella del Quirinale, e anche sul fatto che la prossima legge elettorale non sarà proporzionale (cioè non consentirà giochi individuali ma solo alleanze da maggioritario).
Il punto è che il centrodestra ha il maggior numero di Grandi elettori nel Parlamento in seduta comune, e dunque tocca ad esso la prima mossa. Ora che l’ha fatta formalmente, il Pd reagisce definendo la proposta inaccettabile e irricevibile, minacciando di non partecipare alle prime tre votazioni in cui è necessaria una maggioranza di due terzi degli aventi diritto. Anche il M5S è sul no secco al Cavaliere: diviso com’è in mille partiti, può trovare l’unità almeno su questo: sul no al politico più odiato dal popolo grillino. Enrico Letta e Giuseppe Conte (con l’ombra di Luigi Di Maio alle spalle) devono però a questo punto fare la loro mossa, e trovare una candidatura la più condivisa possibile. Letta ha già specificato che per lui «sarebbe il massimo» poter contare su una ricandidatura di Sergio Mattarella ma - vista l’indisponibilità dell’interessato - punta su una larga maggioranza, pari cioè a quella che sostiene il governo in modo tale da garantire la prosecuzione della legislatura. Il fatto che l’elezione del presidente e la tenuta del governo si intreccino rende tutto assai più complicato: ormai la candidatura di Mario Draghi è stata nei fatti rivelata e già contestata e la sua sorte è strettamente connessa proprio alla prosecuzione della legislatura fino alla scadenza naturale nel 2023, cosa che poi rappresenta il massimo interesse della gran parte dei deputati e senatori.
Tutto insomma è così ingarbugliato che oggi, a nove giorni dalla prima votazione, nulla è sicuro. Se non, appunto, che il 24 gennaio il centrodestra voterà per il suo fondatore provocando – forse – l’Aventino del centrosinistra. Altro non si sa.
C’è poi, a complicare ancor di più le cose, la variante Omicron: se il contagio del virus dovesse colpire nelle prossime settimane più Grandi elettori di quanto sarebbe tollerabile, sarebbe davvero il panico. Anche perché il mandato di Mattarella scade formalmente il 3 febbraio, e se per quella data non ci sarà il successore, nessuno sa bene come ci si debba comportare: non esiste infatti l’istituto della «proroga» né esistono precedenti nella storia della Repubblica. In quel caso alcuni pensano che si potrebbe implorare Mattarella perché riveda il suo no e si lasci rieleggere. Se non altro per evitare che davvero Berlusconi riesca nel suo intento.
© RIPRODUZIONE RISERVATA