L'Editoriale
Mercoledì 21 Aprile 2021
Questione debito
Occorre essere seri
C’è una gran gara dei partiti – lo si vede ogni sera ai Tg – per rivendicare il merito di 40 miliardi destinati alle varie categorie. Abbiamo garantito, abbiamo distribuito... Segue dichiarazione dell’unica opposizione, che si lamenta che è troppo poco. Variante: promessa di altre decine di miliardi al prossimo giro. Dubitiamo che questo coro da Bengodi ottenga i risultati propagandistici desiderati, perché i miliardi sono tanti per il debito pubblico (si aggiungono ai 2.750 sul gobbo a inizio anno), ma sono pochi per i debiti privati causa Covid. Una manciata di euro per una piccola attività che ha perso 50 mila euro, non cambiano la vita. In Usa e in Germania sono girate ben altre cifre. Per di più, una fetta è andata ad Alitalia, non per investimenti, ma per pagare mezzo stipendio di marzo, in attesa di quello di aprile e così via.
Non è in discussione la necessità di aiutare, ci mancherebbe, ma invocheremmo un po’ più di misura, ora che Draghi ha messo quasi tutti nella stessa barca. È penosa anche la classifica di chi è più bravo ad aprire o chiudere.
Soprattutto, non si può sorvolare sulla questione debito e bisognerebbe essere più seri, anziché far festa per ogni euro che esce da una cassa comune che senza Bce e Ue sarebbe vuota.
Il nuovo Def scommette sui miliardi del Pnrr, che valgono il 12% del Pil attuale e dunque fanno sperare in una crescita al 2024 del 14,3. Ma andrà proprio così? Il Cer di Baldassarri sostiene che nel 2028 avremo 500 miliardi di debito in più e il Pil sarà sotto i valori assoluti del 2019. Finito l’effetto Ngeu, torneremmo agli zero virgola del nostro stentato passato. Occorrerebbe rendere strutturale l’una tantum di questo primo soccorso europeo, perché è niente il normale contributo dell’1% dei vari Pil.
In Usa l’intervento federale è del 25%! Ma occorre un’Europa politica forte. Sparita a breve la Merkel, e distratto dalle elezioni Macron, molto dipenderà dal nostro Draghi, la cui credibilità è oggi alta, ma deve superare la prova-finestra di un Parlamento in cui ci sono ancora i Ciampolillo che volevano conservarci Giuseppe Conte per l’eternità. Un Parlamento che deve capire che il Pnrr non è solo soldi, ma riforme vere, tutte politicamente difficili.
Per uscire da questa strettoia, ci sono rimedi economici classici ma impraticabili: inflazione alle stelle (impensabile) o cura fiscale da cavallo (assurda dopo una recessione). Finché la crescita percentuale è superiore al costo del debito, almeno il default è evitato, ma poi occorre un colpo d’ala, in un mondo in cui la Cina ha superato il 18% nel primo trimestre ’21. Lucrezia Reichlin ha fatto un accenno alla ristrutturazione di questi enormi debiti, ma sarebbe un estremo rimedio, per un’Italia in Serie B, dietro la Grecia che, se ora ci batte in velocità sul turismo, starà presto meglio di noi.
Difficile il colpo d’ala, insomma, in un Paese con questo futuro davanti ma ancora imbrigliato da un presente di stipendi Alitalia da pagare, eredità populistiche sul caso Autostrade (gli spagnoli controllati dai Benetton, hanno fatto un’offerta allettante per spiazzare la nazionalizzazione: bel rebus, bisognerebbe richiamare in servizio Toninelli…). Un Paese che vede di nuovo a rischio 750 milioni di contributi europei sulla Tav, perché i progetti sono ancora nel cassetto, dove li aveva lasciati l’ineffabile ministro di cui sopra. Per non dire di Ilva: altri soldi pubblici, là dove c’erano privati cui è stato dato l’alibi del mancato scudo penale per scappare dai propri obblighi. È l’Italia che sogna lo statalismo, ma non fa il suo mestiere di Stato: punire con giustizia i colpevoli del ponte Morandi, decidere sulla rete unica internet, organizzare già oggi il nuovo mercato del lavoro del dopo sblocco dei licenziamenti e del dopo navigator.
Occorre insomma verità nel linguaggio, e fantasia nelle soluzioni. Ad esempio, movimentando – lo ha chiesto Antonio Patuelli dell’Abi – i 1.700 miliardi di risparmio privato, cresciuto con il Covid, per incentivare una colossale incentivazione degli investimenti. Troppo privatistica per gli abitanti dell’Arca di Draghi? Meglio tassare quel risparmio?
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