Quell’Italia fragile: non si parli di fatalità

Mesi di caldo afoso. Ancora morte e distruzione sui nostri borghi, su un territorio di natura e arte tra i più meravigliosi del mondo. Stavolta a pagarne le conseguenze è il Centro Italia, la zona costiera di una delle regioni più belle e più fragili del Paese. Il sindaco di Sassoferrato, uno dei paesi colpiti dall’alluvione nelle Marche che ha provocato tanti morti e feriti, dice che nemmeno suo padre, che ha 85 anni, si ricorda di una precipitazione del genere nel suo Comune.

In due ore sono caduti 400 millimetri di pioggia, un piccolo Vajont capace di far tracimare i fiumi e coprire di acqua e fango strade, alberi, auto, case. «Appena il tempo di prendere in braccio mio figlio e avevo un metro e settanta di acqua dentro casa», ha raccontato ai cronisti uno dei sopravvissuti. Ancora una volta tra le vittime ci sono i bambini, i più fragili, i meno difesi dalle calamità, i nostri figli che non sappiamo proteggere. Ora come sempre assistiamo allo straordinario impegno della Protezione civile e dei volontari. Si distribuiscono coperte, si sfamano i sopravvissuti. E ancora una volta ci chiediamo perché questo benedetto Paese sia così bravo nel soccorrere e così dannatamente incapace di prevenire. Incapace di considerare che in fondo prevenire significa soccorrere evitando il peggio.

Non si può parlare di fatalità. Troppo facile per sgravarsi la coscienza. La messa in sicurezza del territorio è uno degli obiettivi europei previsti dai fondi strutturali del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Ma non c’è solo il Pnrr. Sono decenni che abbiamo a disposizione fondi da Bruxelles per arginare i fiumi e drenare i terreni. E infatti sono decenni che questi fondi non li usiamo mentre i fiumi continuano a tracimare quando le perturbazioni sono fuori dall’ordinario. Si potrebbe fare la storia d’Italia con i fiumi che sono tracimati, dal Bisagno allo Scrivia, dal Tanaro al Bormida, fino al fiume Misia di ieri mattina. E così ancora una volta nelle Marche ci sono tanti sfollati, giovani e anziani che hanno perso tutto. Si montano le tende, si allestiscono le cucine da campo. Quante volte al telegiornale abbiamo visto scene simili, magari pensando che da noi non sarebbe mai potuto accadere?

Gli esperti - dai geologi ai climatologi - ci hanno spiegato che l’alluvione delle Marche è la conseguenza della siccità. I 400 millimetri d’acqua caduti su quel territorio rappresentano il 30 per cento delle precipitazioni totali annuali su una serie storica estesa nel tempo. È un evento estremo, certo, ma ci sono cause dovute all’escursione termica. La serie di temporali che si sono rovesciate su prati, boschi e città e che hanno ingrossato fiumi e torrenti è dovuta a particolari condizioni termodinamiche che portano a effetti atmosferici reiterati nel tempo e di magnitudo elevatissima. Con il forte surriscaldamento delle acque superficiali del mare avvenuto negli ultimi mesi il contrasto tra le prime masse d’aria provenienti dall’Atlantico verso le coste ha favorito temporali improvvisi e devastanti. Un’altra conseguenza del surriscaldamento climatico insomma. Dobbiamo abituarci a tutto questo, come a Oriente ci si abitua con spirito induista ai monsoni quasi con rassegnazione, pensando che per fortuna ancora una volta non è toccato a noi? O correre ai ripari per proteggere in anticipo le nostre case, le nostre comunità, i nostri bambini? Quando penseremo seriamente a mitigare gli effetti dei rischi climatici con piani di intervento strutturali, quando ricorreremo a un piano nazionale serio di gestione delle acque del territorio? In poche settimane siamo passati dal preoccuparci per i letti dei fiumi in secca a piangere le vittime dei temporali che provocano morte e disagi. Perché siccità e alluvioni, ormai, sono due facce della stessa medaglia. Ma non lo abbiamo ancora capito.

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