Quella speranza più forte del male

Una Pasqua intrisa di lacrime e bagnata di sangue. Se con la pandemia abbiamo avvertito allungarsi su interi continenti l’ombra della morte, ora la guerra sembra diffondere l’amaro fetore della morte. Le parole di Gesù, nella sua Pasqua, si mescolano con quelle di coloro che combattono, quelle di coloro che narrano e spiegano il combattimento, quelle di chi, sbigottito, è travolto dal combattimento o interiormente turbato e intimorito da ciò che ascolta e vede.

«Dio mio perché mi hai abbandonato» e poi «Padre perdonali perché non sanno quello che fanno», fino alla parola suprema del Risorto, il suo dono: «Pace a voi!», sono parole che in questi giorni risuonano nella chiese di ogni angolo del mondo: parole di speranza esposte al giudizio sbrigativo e a volte sprezzante di chi le ritiene inutili o addirittura pericolose. Si spegneranno tra le mura delle chiese dentro le quali risuonano?

D’altra parte, parole come strage, stupro di massa, disastro umanitario, utilizzo di armi chimiche o nucleari, sollevano interrogativi all’intelligenza e alla coscienza, che non si risolvono semplicemente nella descrizione della prossima mossa sul campo di battaglia, di sanzioni economiche più stringenti, nel sostegno militare sempre più ingente, nelle iniziative diplomatiche in questo momento ancora insignificanti. Sono interrogativi che sommessamente, ma non per questo meno radicalmente, attraversano l’anima di ciascuno.

La guerra, ogni guerra, questa guerra e tutte quelle che si combattono nell’indifferenza generale, ci pongono davanti all’evidente rappresentazione del male. Il male non semplicemente perché fa male, ma il male come malvagità. Il male esiste perché esiste la malvagità e la malvagità non è giustificabile solo scientificamente, politicamente o, infine, come espressione di irrazionalità: la malvagità è una scelta morale, che implica la responsabilità dell’uomo davanti al suo prossimo e davanti a Dio. I cristiani la chiamano peccato. Come mettere insieme le tante parole proclamate sulla dignità e i diritti dell’uomo, con ciò che si prova vedendo le code di bambini, donne e vecchi, che portando con sé quel che possono, cercano di fuggire dalla morte, che ha fatto strage di tante persone umane? Come spiegare il progredire dell’umanità, con le contraddizioni rappresentate da smentite così evidenti? E infine: possiamo ancora sperare? Cosa possiamo sperare?

La fede cristiana offre alle libere coscienze la verità di cui è depositaria e che celebra nel giorno della Risurrezione. Essa è in grado di smascherare i falsi assoluti e di giustificare perché possiamo continuare a sperare. Cristo crocifisso e risorto, non è soltanto il contestatore di ogni ipocrisia o formalismo, non solo Colui che si fa buon samaritano dell’umanità, ma Colui che ha detto «parole di vita eterna».

Liquidare le parole del Cristo, significa mettere in liquidazione la nostra umanità. Nutrirci di quelle parole significa nutrire del buon pane della sua vita, la nostra vita. Progetti di potenza che sembrano riproporsi come orizzonte del nostro futuro, non contemplano la saggezza che viene da quelle parole, da Chi le ha pronunciate, dalla sua Croce e dalla sua Risurrezione. Ascoltarle rappresenta un passo di intelligenza e libertà, verso la pace. Buona Pasqua.
*Mons. Francesco Beschi, vescovo di Bergamo

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