Quel cumulo di scartoffie che opprime medici e scuola

Su L’Eco di Bergamo di venerdì 22 aprile è apparsa un’inchiesta sulla carenza dei medici di base nella Bergamasca. Dall’ottimo lavoro giornalistico sono apparsi numeri da brivido. Valga qui uno soltanto: al corso triennale di formazione in medicina generale ci sono 43 iscritti rispetto ai 75 posti previsti per il polo bergamasco. Situazione analoga nell’intera Regione.

La conclusione da trarne è icasticamente riassunta da Luca Bonzanni: «Borse di studio basse, incompatibilità, burocrazia e stress punteggiano una costellazione d’incognite per chi si vorrebbe avvicinare alla professione». Osservazione ineccepibile, che delinea un quadro paradossale. In Italia c’è un’enorme carenza di medici di base, eppure sono pochi i medici che imboccano quella strada, preferendo – si immagina – il percorso della professione privata. Scelta del tutto legittima, ma che pone una domanda precisa: come mai lo Stato (inteso come insieme dei poteri pubblici) mostra tanta miopia? La tragedia del Covid ha dimostrato quanto abbia pesato – soprattutto nella prima fase della pandemia – la desertificazione della medicina di base, fondata sulla presenza territoriale dei presidi sanitari pubblici. Più vicini ai cittadini, maggiormente informati sulle condizioni generali dei singoli pazienti. Insomma, una carta vincente, che le politiche di governo hanno scartato nei decenni, indebolendo la rete di protezione, di prevenzione e di assistenza costituita dai medici di base. Questa professione - si legge nell’inchiesta – non è più attrattiva, per due ragioni: è sottopagato il periodo di formazione e sono troppe le incombenze (non professionali) del quale il medico si deve occupare. Occorrerebbe che il suo lavoro non fosse soffocato da troppe «carte» e da, spesso, inutili adempimenti formali.

Il grande Moloch della burocrazia si erge, come sempre, ad ostacolare l’efficacia dell’azione dei singoli. Ciò pesa soprattutto in settori chiave come la tutela della salute e l’istruzione. A rendere gravosa, fino a far diventare insopportabile, la professione medica pubblica sono le troppe leggi (normalmente scritte male), i regolamenti a raffica, la pioggia di moduli.

Il grande Moloch della burocrazia si erge, come sempre, ad ostacolare l’efficacia dell’azione dei singoli. Ciò pesa soprattutto in settori chiave come la tutela della salute e l’istruzione. A rendere gravosa, fino a far diventare insopportabile, la professione medica pubblica sono le troppe leggi (normalmente scritte male), i regolamenti a raffica, la pioggia di moduli: una grandinata di regole dalla quale si può uscire soltanto percorrendo, in parallelo, due strade: sfoltire e semplificare la foresta delle norme; affidare le competenze amministrative a personale specificamente addetto. Nelle grandi città il secondo problema è stato affrontato, creando studi medici associati di medici di base, i quali si servono di una segreteria unica per far fronte alle incombenze burocratiche. Nelle piccole città e nei paesini tale soluzione è più difficile, ma non impossibile. La telematica permetterebbe di risolvere il problema attraverso forme di smart working, affidata a persone che operano da «remoto».

Tali soluzioni esistono già e hanno mostrato di funzionare a dovere, alleviando le incombenze amministrative di persone - vale per i medici come per gli insegnanti - che potrebbero svolgere l’attività lavorativa in condizioni migliori, dedicandosi alla loro professione in maniera più assidua e proficua. Da parte di chi governa si tratta di operare scelte giuste e lungimiranti, fondate su alcuni elementi basilari. La minuziosità degli adempimenti superflui andrebbe buttata nel cestino; la qualità del lavoro dei medici, come quella degli insegnanti, andrebbe misurata sui risultati o non sul cumulo di carte; la telematica dovrebbe essere utilizzata nel modo più adatto alle singole circostanze per semplificare i flussi di informazione e per offrire ai cittadini servizi migliori. Alla base di tali modelli di azione pubblica deve prevalere un presupposto essenziale: al posto della diffidenza preconcetta deve valere la fiducia «vigilante» dei poteri pubblici sulla qualità dei servizi erogati. Meno sfiducia e maggiore azione di controllo. Governare è difficile, si sa; governare bene lo è ancora di più. Ma soltanto una politica lungimirante, non ossessionata dal consenso e dallo spauracchio elettorale, può avviare a soluzione problemi che toccano alcuni diritti fondamentali – sanciti dalla Costituzione – come la tutela della salute e il diritto all’istruzione.

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