Quel bacio dei poveri restituito a Francesco

MONDO. Dicono che all’origine della conversione di Francesco ci sia stato l’incontro con un lebbroso. Le prime «legenda» biografiche raccontano che un giorno il figlio del ricco mercante Pietro di Bernardone vagando, perso e perduto per le colline e i prati attorno alle mura di Assisi, si spaventò alla presenza di un lebbroso, repellente e disgustoso. Finì per baciarlo.

L’episodio s’impresse nella carne di Francesco a tal punto da ricordarlo lui stesso nel suo testamento: «Il Signore dette a me, frate Francesco, di incominciare a fare penitenza così: quando ero nei peccati mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi, e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia. E allontanandomi da loro, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza di animo e di corpo. E in seguito, stetti un poco e uscii dal secolo». Baciò il lebbroso, l’emblema dello scarto umano, la feccia dell’umanità, il paradigma di ogni ultimità vivente: cioè tutta quell’umanità che Papa Francesco ha voluto abbracciare, come fece il folle di Dio. Perché solo un folle (così si definiva lo stesso Francesco di Assisi) può spingersi a un bacio così. Ebbene, guardando la foto, quel bacio gli è restituito da un povero, 800 anni dopo (l’anno prossimo ricorre l’anniversario della morte del «folle» umbro).

La Tenerezza Divina

Non si sa quando sia avvenuto questo clamoroso bacio stampato sulla fronte del Papa che per primo ha osato pre(te)ndere per sé il nome dell’Alter Christus di Assisi. Poco importa. Conta piuttosto che quel bacio ci sia stato. Oggi, quel bacio echeggia come una benedizione e una profezia: saranno i poveri a salvarci. Quel bacio rivela l’inaudita Tenerezza Divina, quella che Bergoglio ha ostinatamente continuato a testimoniare, viaggiando nelle periferie del mondo, Lampedusa o Macedonia che sia. Quel bacio rende giustizia di una verità: i poveri riconoscono sempre chi è loro fraterno, chi non si scandalizza della loro presenza e si fa prossimo (avevo fame e sete, ero malato, forestiero, nudo, in carcere e… dice in maniera inequivocabile Matteo venticinque). Quel bacio dice tutto quello che può credere un povero o un disperato o un delinquente che non ha più nulla da sperare né da difendere: Dio – dice l’ultimo degli ultimi – non si dimenticherà di me, nonostante me. Se c’è un Dio, si interesserà alla mia pochezza e alla mia nientezza. E, di sicuro, avrà il volto di Francesco. Questo hanno visto e creduto i poveri.

Quel bacio rende giustizia di una verità: i poveri riconoscono sempre chi è loro fraterno, chi non si scandalizza della loro presenza e si fa prossimo (avevo fame e sete, ero malato, forestiero, nudo, in carcere e… dice in maniera inequivocabile Matteo venticinque).

Uno degli ultimi gesti di Francesco è stato proprio andare a visitare il Giovedì Santo gli ultimi del carcere di Rebibbia. Vengono in mente le parole del protagonista di «Delitto e castigo» di Dostoevskij, l’ubriacone Marmeladov: «“Venite avanti anche voi. Venite, ubriaconi; venite, deboli; venite, svergognati!”. E allora noi ci faremo avanti tutti, senza vergognarci e ci fermeremo davanti a lui. Ed egli ci dirà: “Porci! Voi siete l’immagine e l’emblema della bestialità, ma venite anche voi!” e diranno i sapienti, diranno i saggi: “Signore! Perché accogli costoro?” ed egli dirà: “Li accolgo, o sapienti, li accolgo, o saggi, perché nessuno di loro si è mai reputato degno di ciò…”. E ci tenderà le mani, e noi cadremo in ginocchio… e piangeremo… e comprenderemo tutto!». L’ultimo vero cantore («teologo») degli ultimi, De Andrè, consegnò il senso di tutto il suo lavoro nella struggente «Smisurata preghiera»: «Ricorda, Signore, questi servi disobbedienti / alle leggi del branco / Non dimenticare il loro volto che dopo tanto sbandare / è appena giusto che la fortuna li aiuti / come una svista / come un’anomalia / come una distrazione / come un dovere». Chissà se il Papa l’ha mai ascoltata.

Pregare per lui

Francesco è stato tanti Papi messi insieme, non uno solo: è stato quello dell’evangelizzazione nel mondo contemporaneo e di una idea di Chiesa (Evangelii gaudium), della giustizia sociale e della salvaguardia del pianeta (Laudato si’), della fraternità universale (Fratelli tutti); è stato quello del dialogo con i non credenti (sulle orme del suo grande mentore Martini), e molto di più. È stato anche quello delle riforme incompiute. D’accordo, Francesco è piaciuto a tutti (o quasi, per la verità) ma è curioso che sia piaciuto così tanto proprio perché le cose che per cui è piaciuto le ha – praticamente – messe in pratica solo lui. Si è presentato al mondo chiedendo al mondo di pregare per lui. E lo ha chiesto fino alla fine, quasi un’ossessione la sua: «Non dimenticatevi di pregare per me».

Nella prima intervista rilasciata al gesuita Antonio Spadaro per «Civiltà Cattolica» alla domanda «Chi è Jorge Mario Bergoglio?» lui candidamente rispose: «Io sono un peccatore». E anche questo è francamente sorprendente: forse l’esperienza cristiana non è ricerca della perfezione, ma cucitura di ferite e riconciliazione con i propri fallimenti. E farsi amare così

Nella prima intervista rilasciata al gesuita Antonio Spadaro per «Civiltà Cattolica» alla domanda «Chi è Jorge Mario Bergoglio?» lui candidamente rispose: «Io sono un peccatore». E anche questo è francamente sorprendente: forse l’esperienza cristiana non è ricerca della perfezione, ma cucitura di ferite e riconciliazione con i propri fallimenti. E farsi amare così. Lui l’ha capito benissimo. Ha chiuso la sua vita, senza volerlo, cercando di essere pastore in mezzo all’umanità che ha amato e servito. È morto a Pasqua, è morto donando il suo corpo sofferente all’umanità che chiede speranza e dolcezza. È morto come un «Cristo esposto» (avrebbe scritto Pasolini), convinto che l’amore speso è sempre amore che salva. Dalla morte, di sicuro. Ma soprattutto dal Male. L’amore sprecato, perché è così che deve essere l’amore, è già porta spalancata sul mistero della Divina Tenerezza. Il giubileo che ha aperto e avrebbe voluto vivere lui l’ha vissuto proprio così: passando dalla morte alla vita. E Dio, ce lo immaginiamo già, sarà contento di questo uomo, cristiano, prete così folle da aver narrato l’inaudito: il Vangelo è vita possibile, la fede è vita credibile. Si può osare stare nel mondo con il passo di danza, leggero, sospeso, con un’unica parola sulle labbra: misericordia. Il «folle di Dio» dice una cosa: o Dio è un bacio di misericordia o non è. Tutto il resto è vanità.

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