Quei confini da rispettare per dire no alla violenza

ITALIA. «Questo segno nella terra non fa pace non fa guerra./Dice solo, se capisci: qui io inizio e tu finisci». Martedì 26 novembre, la mattina, gli alunni della scuola primaria Da Rosciate porteranno nei negozi di Borgo Santa Caterina tanti biglietti rossi con la «Filastrocca dei confini» di Bruno Tognolini che resteranno a disposizione di chi vorrà prenderli.

Un inno al rispetto reciproco, alle linee che nei rapporti umani non devono essere oltrepassate. Un segno piccolo, ma importante in una città che ha registrato quest’anno 323 segnalazioni di violenza su 1.046 donne che si sono rivolte ai cinque centri antiviolenza dell’intera provincia. Importante perché solo crescendo con valori diversi possiamo cambiare le cose. Gli adulti, a leggere i dati e le dichiarazioni di questi giorni, hanno le idee confuse. La condanna della violenza contro le donne è unanime, così come – in altri contesti – tutti sono contro la guerra e la schiavitù. Ma appena si approfondisce, l’unanimità si divide in mille sfumature di significato e distinguo delle responsabilità. Fino a negare l’esistenza di una millenaria visione del mondo, tanto squilibrata quanto persistente, che attribuisce minor valore a una parte dell’umanità.

Il principio del privilegio

È il principio del privilegio. Io sono titolato a prendere e decidere; tu no. Lo sono perché ho muscoli, armi, tecnologia, soldi che mi permettono di tenere gli altri in mio potere. E se non riesco con gli altri, posso sempre rifarmi con le altre. Perché su questo c’è un accordo atavico transnazionale. E si chiama patriarcato. Esiste. Talmente pervasivo che anche chi ne subisce le conseguenze spesso non ne è cosciente, perché è parte della stessa cultura.

Il diritto di famiglia

È una realtà che si manifesta con diverso «spettro di intensità» nelle leggi delle nazioni, nei comportamenti sociali e privati. Nell’alta intensità ci stanno l’Afghanistan oppure l’assassino di una donna «per il solo fatto che è donna» (questa è la definizione corretta di femminicidio). Nella bassa intensità, i Paesi democratici che hanno inserito la parità fra sessi nelle loro leggi e più o meno faticosamente cercano di realizzarla. Indubbiamente per l’Italia la legge sul Diritto di famiglia del 1975 segnò una svolta, togliendo una contraddizione costituzionale insostenibile. Ma non ha certo sradicato il patriarcato «sociale», che continua, protetto dalla mentalità che «a casa propria ciascuno fa quel che vuole».

I dati dei centri antiviolenza

Il 1522, numero telefonico nazionale antiviolenza, da gennaio a settembre ha registrato 48.000 contatti, con un incremento del 52% rispetto all’anno precedente. Il picco di 800 chiamate al giorno, ora consolidato, fu raggiunto dopo l’assassinio Cecchettin. Dei violenti, il 65% è cittadino italiano. I centri d’aiuto sottolineano la perdurante tendenza a sottovalutare il rischio fisico delle «liti di famiglia». Tuttavia in questi anni, grazie al lavoro di tante organizzazioni, la società italiana è stata sensibilizzata sul femminicidio e si è cominciato a mettere in campo azioni concrete di contrasto.

Il valore della prevenzione

Ciò che manca è la prevenzione. Per quanto le giovani donne siano oggi più attente a intercettare i «passaggi di confine», l’aria resta inquinata da polveri sottili di atteggiamenti e linguaggi così radicati che per molti sono inavvertibili. A volte, alcuni uomini si svegliano andando a sbattere, come padri di figlie, contro diseguaglianze fino ad allora scontate. Decolonizzare la mente non è facile neppure per le donne, dalle nonne alle adolescenti. Per questo, la speranza di cambiamento è nelle bambine e nei bambini. Alle medie è già tardi, come hanno capito alla Da Rosciate.

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