Quando parla il Quirinale le istituzioni si rinsaldano

ISTITUZIONI. L’intervento di Sergio Mattarella a chiusura del Meeting di Rimini sull’amicizia dei popoli ha dimostrato ancora una volta – ammesso che ce ne fosse bisogno – quale peso ed autorevolezza circondano il Presidente della Repubblica.

Egli ha toccato tutti i nodi (a volte scottanti) della situazione politica e civile del nostro Paese con osservazioni, perorazioni e ammonimenti rivolti sia ai poteri pubblici sia alla comunità. Ma senza mai infrangere il delicato e impalpabile confine della separazione dei poteri costituzionali. Una funzione particolarmente «attiva», ma sempre circondata dalla «terzietà». Come si addice agli arbitri, che non sono giocatori, ma garanti delle regole del gioco. Non a caso il giornalista parlamentare Nicola Graziani lo ha definito, in un suo libro, «l’uomo delle regole». L’inquilino del Colle sta esercitando il suo secondo mandato – così come aveva fatto nel corso di quello precedente – su tre pilastri: il rigoroso rispetto delle regole; la terzietà attiva intesa come capacità di essere parte dei processi decisionali, senza sconfinamenti nel terreno degli altri poteri dello Stato; la forza tranquilla come elemento dell’efficacia del ruolo del Quirinale.

Sergio Mattarella gode di larghissima popolarità, tra i cittadini come tra i media. Tale riconoscimento non è un frutto di protagonismo, quanto piuttosto la dimostrazione della centralità indiscussa della funzione di equilibrio assunta dal Capo dello Stato. Funzione esercitata in modi diversi, a seconda delle condizioni storiche e in rapporto alla personalità dei singoli Presidenti. Già agli inizi degli anni ’80 veniva autorevolmente sostenuto che il ruolo del Presidente della Repubblica tende ad accrescersi in proporzione alle incertezze della situazione politica.

In siffatte circostanze l’ampiezza e l’incidenza del ruolo del Capo dello Stato sono la conseguenza della debolezza di un sistema politico/parlamentare scosso sovente da pericolose contrapposizioni. È dentro il principio dei reciproci rapporti tra organi costituzionali che occorre individuare le dinamiche del processo politico democratico. Il flusso più importante è senza dubbio quello che si instaura tra il corpo elettorale e le forze politiche chiamate a rappresentarlo nelle sedi proprie (Parlamento e Governo). Accanto ad esso hanno specifica consistenza flussi paralleli che contemperano le esigenze del principio democratico con la necessità di introdurre nel processo politico elementi di equilibrio, che acquistano funzione di garanzia e di tenuta dell’ordinamento. In tale quadro concettuale la configurazione nello schema costituzionale italiano di un ruolo «politicamente attivo» del Presidente della Repubblica è da ritenersi del tutto plausibile e coerente con l’esigenza di una proficua dialettica tra gli organi costituzionali.

«L’interventismo» quirinalizio non è frutto di vocazioni accentratrici (e, meno ancora, di preteso autoritarismo), quanto piuttosto dell’esigenza di tenere salde le istituzioni rappresentative quali baluardi della democrazia, richiamandole all’obbligo dell’esercizio delle loro potestà nell’interesse generale del Paese. In un sistema parlamentare, fondato sulla centralità delle Camere elettive, la Costituzione italiana delinea per il Capo dello Stato una funzione di organo destinato ad equilibrare il sistema attraverso la risoluzione delle sue crisi. È dentro il principio dei reciproci rapporti tra organi costituzionali che occorre individuare le dinamiche del processo politico democratico. Con tutta evidenza al Presidente della Repubblica compete, tra gli altri, il compito di operare in presenza della crisi dei partiti e di far argine al crescente discredito del ceto politico. Su questo tracciato Sergio Mattarella sta sviluppando, con pazienza e tenacia, il suo ruolo istituzionale.

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