Province, la riforma incompiuta e il futuro

ITALIA. Treno delle 7,02 da Bergamo per Milano, pieno di pendolari e di studenti universitari. Un classicone, quasi un mito senza tempo. Due ragazzi parlano degli esami del terzo anno, di un’ipotesi di tesi: brillanti, informati, snocciolano nomi di storici arabi, abbozzano possibili tracce.

Poi il discorso scivola sull’attualità, la politica, le elezioni provinciali di qualche settimana fa. «Ah, ma ci sono ancora le Province?» domanda uno dei due, l’altro spiega di sì, ma quando si tratta di passare al ruolo e alle competenze è tutto un «forse». Ecco, partiamo da qui, esistono ancora le Province? La rispost a è assolutamente sì. Loro malgrado. Esistono non solo perché lo scorso 29 settembre si è votato per il rinnovo del Consiglio che si è insediato ieri, ma soprattutto perché per un territorio come quello della Bergamasca realtà del genere sono assolutamente fondamentali. E francamente non possono continuare ad esistere solo nella loro dimensione di enti di secondo livello, votate cioè da sindaci e amministratori locali, perché così aumenta la loro distanza con il territorio.

Dieci anni fa la riforma Delrio ha cancellato le Province così come le conoscevamo storicamente, ovvero togliendo il voto popolare e dando il la a un autentico paradosso: da un lato è aumentata la distanza con i cittadini, dall’altro è stata mantenuta la centralità dell’ente (tagliando però fondi) in tutte quelle dinamiche territoriali complesse

Dieci anni fa la riforma Delrio ha cancellato le Province così come le conoscevamo storicamente, ovvero togliendo il voto popolare e dando il la a un autentico paradosso: da un lato è aumentata la distanza con i cittadini, dall’altro è stata mantenuta la centralità dell’ente (tagliando però fondi) in tutte quelle dinamiche territoriali complesse. Ancora di più in un territorio come il nostro che va dalle Valli alla pianura e dove una visione d’insieme è assolutamente necessaria, anzi fondamentale considerando che parliamo di oltre 1 milione e 100mila abitanti.

Le competenze

Infrastrutture, logistica, trasporto pubblico, territorio, sono solo alcune delle competenze in carico alle Province che in realtà sarebbero dovute essere completamente cancellate in una seconda fase che però non ha mai visto la luce dopo la bocciatura nel referendum del 2016 della riforma costituzionale Renzi-Boschi. E come nelle migliori tradizioni si è rimasti sospesi a mezz’aria, né carne né pesce con un risparmio complessivo per le casse dello Stato di poco superiore ai 52 milioni. In pratica nulla. Anzi, considerando che diversi dipendenti sono passati alle Regioni, dove premi e remunerazioni sono spesso più alti, il conto rischia di essere persino meno conveniente.

Non è un mistero che all’interno del centrodestra di Governo ci siano opinioni differenti in merito al ripristino delle Province nella loro forma, come dire, completa. C’è chi vorrebbe affrontare il problema nell’ambito di una ridefinizione connessa all’autonomia, ma già questo tema di suo rischia di rivelarsi parecchio scivoloso per pensare a interventi di natura più strutturale

Non è un mistero che all’interno del centrodestra di Governo ci siano opinioni differenti in merito al ripristino delle Province nella loro forma, come dire, completa. C’è chi vorrebbe affrontare il problema nell’ambito di una ridefinizione connessa all’autonomia, ma già questo tema di suo rischia di rivelarsi parecchio scivoloso per pensare a interventi di natura più strutturale.

Le elezioni «sfasate»

La sola cosa abbastanza certa è che in questi 10 anni dalla Delrio la situazione si è complicata in modo poco gestibile e la ripartizione delle deleghe tra i consiglieri è diventata un esercizio di alchimia politica capace di dividere le stesse coalizioni, nella Bergamasca il centrodestra in particolare. E francamente anche lo sfasamento tra l’elezione del presidente e quella del Consiglio provinciale ha reso ancora meno comprensibile il sistema, accentuando semmai quella sensazione che la questione sia soprattutto una partita in seno alle segreterie dei partiti, mentre in realtà è molto più grande e importante.

La sintetizza in modo mirabile un passaggio del documento redatto dall’Upi, l’Unione province italiane, la scorsa primavera: «In questo frangente, dove le Province rivestono un ruolo centrale come enti intermedi, è importante rivedere norme che una disciplina transitoria, concepita nella prospettiva di una riforma costituzionale che è stata bocciata dal popolo nel referendum del 2016. Ciò che interessa davvero cittadini e imprese è assicurare ai territori istituzioni in grado di rispondere alle loro esigenze e alle esigenze del Paese». E non c’è altro da aggiungere.

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