Prospettiva globale per poter negoziare

IL COMMENTO. Qualcuno dirà che Papa Francesco ha gettato alle ortiche la sua equidistanza. Qualcuno dirà che finalmente ha scelto di stare dalla parte degli ucraini. Qualcuno dirà anche esattamente l’opposto e dunque via libera ad ogni ridimensionamento possibile del vertice con Zelensky, parole d’ordine sminuire e minimizzare. In realtà il Papa non è mai stato equidistante da nessuno, ma «equivicino» a tutti.

L’incontro di ieri pomeriggio tra il Pontefice e il Presidente della Repubblica ucraina ne è l’ulteriore ultima conferma. Così come resta la convinzione nella diplomazia vaticana e in Francesco che sarebbe utile alla causa della pace anche un incontro con il leader del Cremlino, certo più difficile, ma non impossibile, almeno nella strategia sempre feconda della diplomazia vaticana. Per capire il senso non solo della visita, ma dell’intera visione della Santa Sede su quella che il Papa continua a definire un pezzo dell’odierna «guerra mondiale a pezzi» va letto con attenzione il discorso che ieri mattina Francesco ha pronunciato davanti ad alcuni ambasciatori che gli presentavano le credenziali. Di solito questi appuntamenti passano inosservati e le parole del Papa spesso sono di circostanza. Ma ieri mattina Francesco ha proposto una piccola lezione di diplomazia, spiegando che quella vaticana difende la dignità di ogni persona e promuove la fratellanza tra tutti i popoli.

E poi la stoccata che offre l’interpretazione della posizione vaticana nel conflitto con l’invito a ragionare sulla differenza tra «neutralità positiva» e «neutralità etica». Il Papa ha detto con chiarezza agli ambasciatori che «neutralità positiva non è neutralità etica». La neutralità etica nega le responsabilità, al più le manipola, è una neutralità immorale. Quella positiva invece non rinuncia alla verità dei fatti. E Francesco ha aggiunto alla riflessione sulla neutralità la denuncia inequivocabile dell’«ambizione sfrenata di conquistare terre», che «non giova al bene comune».

C’è irritazione da parte ucraina, perlomeno un fastidio, per gli interventi vaticani, considerati una sorta di favore al Cremlino. Zelensky, ieri sera, prima in un tweet e poi nell’intervista a «Porta a porta», lo ha lasciato intendere in modo esplicito. Ha detto di aver chiesto a Bergoglio di aderire alla «nostra formula di pace», unica strada «per raggiungere una pace giusta» e ha ribadito che non c’è bisogno di alcun negoziato né di mediatori tra «l’Ucraina e l’aggressore». Qualcuno dirà dunque che il Papa è stato sbaragliato, che la «missione» segreta (il Vaticano non ha mai parlato di mediazione) annunciata forse con troppa precipitazione dal Pontefice sull’aereo di ritorno dall’Ungheria è fallita. Il Segretario di Stato card. Pietro Parolin da Fatima ieri ha confermato che «stiamo cercando di dare il nostro pieno contributo». La Santa Sede è preoccupata delle prospettive globali del conflitto ucraino e delle ripercussioni sui rapporti multilaterali mondiali, sia politiche sia economiche. A Kiev questa analisi sembra interessare poco. E c’è da capirla, essendo l’Ucraina un Paese da 15 mesi sotto attacco con le macerie e i morti in casa. Eppure se mai si arriverà ad un negoziato (e si arriverà, perché questo è il destino di tutti i conflitti) la prospettiva globale sarà quella decisiva, che farà la differenza anche sul rispetto della sovranità ucraina, per evitare che venga accettato il principio, appunto, dell’ambizione sfrenata a conquistare terre e farla franca.

Ogni guerra nasce da predazione di territori e risorse, ma è una sorta di normalità da sgominare. È questo il monito della diplomazia vaticana. Come si arriva ad una soluzione? Prima di tutto creando un clima favorevole a discutere allo sfinimento ed è ciò che il Papa ieri ha fatto con Zelensky. Non basta al leader ucraino? Forse in questa fase. Ma la vicinanza del Papa al suo popolo, al dramma dei suoi bambini rapiti verso cui ha chiesto ai russi «gesti di umanità», e la chiara indicazione della Santa Sede che una «pax russa» non potrà mai portare a nulla di buono, come è già certificato dalla «pax americana», possono convincere tutti a fermare la carneficina, a trattenere ulteriori ardori bellici, a negoziare. Questa è la missione «segreta» della Santa Sede e il Papa ieri lo ha detto a Zelensky donandogli un ramoscello d’ulivo.

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