L'Editoriale
Domenica 05 Gennaio 2025
Produttività, la chiave per rialzare i salari
ITALIA. I salari bassi sono un tema centrale della questione sociale, per alzarli manca il propellente della produttività.
La questione dei bassi salari è diventato un tema centrale della questione sociale. Non è solo una sensazione. Il paragone con i grandi Paesi europei segnala differenze anche del 30%, che sono una componente della fuga di tanti giovani all’estero (dovrebbe essere la vera emergenza migratoria da gestire, ma non è utile per la propaganda). Naturalmente, il dato statistico nasconde molte differenze, senza dimenticare chi un salario non lo trova del tutto. Ci sono squilibri regionali, categoriali, e persino tra uomini e donne. A Milano, i salari sono anche del 50% superiori a quelli del Sud d’Italia. C’è un confine grigio tra falsi autonomi e falsi occupati. Nell’industria si sta meglio, e al suo interno, i metalmeccanici sono meglio pagati, ma da 21 mesi è in crisi, e ora si rischia la cassa integrazione. Alzare i salari non si può fare per decreto, alla sovietica. Occorrono fattori macro e micro economici, manca soprattutto da decenni il propellente della produttività. Dal 1990 negli Usa è cresciuta del 70%, noi siamo fermi da un quarto di secolo.
Le possibili soluzioni
Restano quindi prevalenti due soluzioni generali, i contratti collettivi e la riduzione del cuneo fiscale, che quest’anno ha assorbito quasi due terzi della legge di Bilancio, solo per lasciare inalterati gli stipendi.
Ma questi sono rimedi piatti (il secondo a spese della collettività), senza selezionare per merito e qualità. Il «fine tuning» richiederebbe un approccio culturale molto diverso, basato sulla valorizzazione alla produttività, ma è ostacolato dal gioco degli interessi e dalle incursioni della politica. Era così con il Pci e la Dc, è così con FdI e Lega, che coltivano nuovi collateralismi, con sindacati amici in crescita.
Gli aumenti dei contratti collettivi
I grandi contratti, ancora nel 2024, hanno svolto una funzione importante, segnalando un +2% medio del recupero dei prezzi, grazie a un +4,6% nell’industria, un 4,1% nei servizi, addirittura un +11% nel credito e nelle assicurazioni. Certo, sono miglioramenti che arrivano in ritardo (18,3 mesi di durata delle trattative, ma in passato era anche il doppio), e per i rinnovi ancora fermi si parla di aumenti quasi tutti sopra i 100/150 euro.
Dunque, la contrattazione nazionale è sempre un pilastro. Ma i dati dicono che tocca solo il 47,2% dei lavoratori dipendenti. Il resto – cosa buona – è contrattazione aziendale ma anche – cosa cattiva – contrattazione in dumping.
Il tema dei minicontratti
Al Cnel sono depositati ben 971 contratti del settore privato, di cui 271 si rivolgono a meno di 15 lavoratori! Perché la cosa è preoccupante? Perché questi minicontratti, moltiplicandosi all’infinito, anziché muoversi verso l’alto, agevolano una corsa alla riduzione media proprio di quei salari che ci lamentiamo siano troppo bassi. E allora occorre far attenzione a una manovra legislativa in corso, che non a caso ha compattato il fronte contrario delle parti sociali, sia datoriali che del lavoro. C’è, nel nuovo codice degli appalti di Salvini, una norma che, per pagare i lavoratori degli appalti pubblici (con il Pnrr molto estesi), tende a indicare il contratto di riferimento basandosi sul numero di lavoratori iscritti (o delle imprese associate), e sul numero dei contratti già sottoscritti. Sembra di buon senso, peccato che il primo problema non sia stato mai risolto e sia sovrastimato e che il secondo sia basato sulla quantità degli accordi e non sulla qualità, a causa proprio dell’illimitata possibilità di firmare contratti al ribasso. La via maestra per misurare la rappresentanza sarebbe quella di utilizzare i dati dall’Inps, come stabilito dal governo Monti, ma nessun Ministro (Di Maio, Catalfo, Orlando, Calderone) da allora ha autorizzato l’Istituto a farlo. Si va avanti con l’autocertificazione (o con poteri crescenti ai consulenti del lavoro, presieduti fino a ieri dall’attuale ministra Calderone, ora da suo marito…).
Per una svolta vera, ci vorrebbero un Governo che seguisse la linea Draghi (innovazione, ricerca, sviluppo tecnologico, A.I, insomma produttività) e parti sociali tese ad accordi al rialzo qualitativo, anche al di là del contenuto monetario. Se no, i salari resteranno bassi.
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