Procedura anti deficit, il populismo non serve

ITALIA. La Commissione europea prevede l’apertura di una procedura per deficit eccessivo nei confronti dell’Italia e altri sei Paesi dell’Unione, fra i quali la Francia. Il motivo principale?

L’indebitamento pubblico annuale in questi Paesi è saldamente sopra la soglia del 3 per cento in rapporto al Pil, cioè sopra il livello massimo consentito dai Trattati in tempi normali. Per valutare l’impatto di questa decisione non si può che iniziare dalla comprensione di quello che essa comporterà in concreto. Il prossimo settembre l’Italia dovrà presentare il proprio Piano di medio termine per ridurre l’indebitamento nazionale, dopodiché, a ridosso della stesura della nostra Legge di bilancio, la Commissione a novembre pubblicherà delle raccomandazioni definitive per l’aggiustamento, con la relativa entità della correzione dei conti pubblici da adottare – nell’arco di alcuni anni – per riassorbire il deficit eccessivo. L’aggiustamento proposto – sulla carta - dovrebbe essere attorno allo 0,5% del Pil, cioè pari a circa 11 miliardi di euro.

Per chi ha alle spalle qualche anno di lettura dei quotidiani o di visione dei telegiornali, la notizia di ieri – e quanto dovremo attenderci nei prossimi mesi - potrebbe avere il sapore di un déjà-vu. Le procedure d’infrazione avviate da Bruxelles nei confronto dei Paesi membri erano infatti all’ordine del giorno fino a quattro anni fa, prima della pandemia da Covid-19 e poi della guerra in Ucraina - con conseguente crisi energetica - che hanno convinto Bruxelles a sospendere l’applicazione del Patto di Stabilità e crescita fino a questa primavera, quando lo stesso Patto è stato emendato. Il ping-pong diplomatico e contabile tra Roma e Bruxelles che realisticamente ci attende non sarà dunque il primo cui assisteremo.

Anche se non ci troviamo di fronte a una decisione senza precedenti, sarebbe pericoloso ignorare il campanello d’allarme che vi è associato.Essa segnala infatti la fine di un lustro di politiche europee straordinarie, sia monetarie sia fiscali, che hanno consentito al nostro Paese – come ad altri – di attutire gli effetti recessivi di pandemia e guerra. Ora, tra tassi di interesse di riferimento ben sopra lo zero e regole di bilancio di nuovo in vigore, torna in primo piano un vincolo davvero stringente: il livello straordinario dell’indebitamento pubblico nazionale. Un fardello che condiziona, e condizionerà per anni, la capacità di spesa dei governi e le tasche dei cittadini.

Vediamo come hanno reagito i principali attori coinvolti. La Commissione europea, in apparenza, ha mostrato di non voler tornare alla eccessiva rigidità del passato. Così si possono leggere le parole del Commissario all’Economia, Gentiloni, che ha sottolineato come «il percorso nei prossimi anni – con riforme, investimenti e politiche di bilancio – sarà discusso sulla base di un piano che l’Italia stessa presenterà in autunno e discuterà con la Commissione. Un’innovazione importante – ha proseguito – per evitare di vedere le cose come se fossero dei diktat da Bruxelles». Toni dialoganti che andranno verificati alla prova dei fatti, per esempio facendo sì che gli aggiustamenti contabili richiesti tengano conto di quello che si muove attorno all’Europa, a partire dalla mole di investimenti pubblici che potenze come Stati Uniti e Cina stanno mettendo in campo per favorire le transizioni ecologica e digitale che qualcuno a Bruxelles pensa invece di cavalcare a suon di regole e norme.

Quanto alla reazione della politica italiana, è comprensibile che il ministro dell’Economia Giorgetti abbia parlato di «notizia annunciata» e abbia rivendicato l’impegno per il risanamento dei conti già avviato dall’esecutivo. Il resto della maggioranza, invece, tende per ora a fare finta di nulla, come se la cura delle finanze pubbliche fosse interesse del solo ministro dell’Economia, al punto da soprassedere anche su indicazioni positive che sono arrivate da Bruxelles, come il fatto che l’Italia da quest’anno non è più considerato un Paese con «squilibri macroeconomici eccessivi» o come l’endorsement di fatto per il taglio del cuneo fiscale già intrapreso da questo esecutivo. Né, per rimanere sul versante italiano, fa ben sperare l’atteggiamento delle opposizioni che da una parte alimentano (con retorica rigorista) l’allarmismo sulla procedura avviata da Bruxelles per attaccare l’esecutivo, dall’altra avanzano proposte – su sanità e welfare – senza curarsi della loro sostenibilità finanziaria. Eppure non mancherebbero i punti sollevati dalla Commissione su cui cercare un terreno comune con la maggioranza, come il calo demografico da contrastare ampliando la partecipazione al mercato del lavoro o il carico fiscale sul lavoro da ridurre ancora. Senza un comportamento responsabile e lungimirante di tutti, a Bruxelles come a Roma, il déjà-vu della procedura anti-deficit porterà con sé le solite polemiche e recriminazioni, e in definitiva un indebolimento ulteriore di tutto il continente nella competizione mondiale.

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