Preti ammazzati fede e libertà

Potrebbe essere solo una coincidenza. Ma le coincidenze a volte non sono casuali e dunque, come in questo caso, è giusto cercare di interpretarle. Cosa insegna Papa Francesco con quella frase pronunciata ieri nell’omelia della Messa nella basilica vaticana in cui ha ordinato nove nuovi sacerdoti nella domenica dedicata al Buon Pastore che in Italia è anche la festa della Liberazione? La frase indica il posto del sacerdote «a volte davanti al gregge, a volte in mezzo o dentro, ma sempre lì con il popolo di Dio». Così le parole del Papa aiutano a trarre dalla dimenticanza il tributo di sangue elevatissimo dei sacerdoti italiani e non solo alla lotta di liberazione e alla costruzione della democrazia in Europa.

Mai nella storia della Chiesa italiana furono uccisi così tanti sacerdoti come in quegli anni terribili. Morirono sotto i bombardamenti, cappellani sui campi di battaglia, fucilati nelle rappresaglie naziste e fasciste, morirono trucidati nelle vendette nel dopoguerra soprattutto in Emilia. Morirono tutti con il popolo e le loro storie emergono per questo motivo limpide, prive di retorica e colme di valori, primo tra tutti la fraternità tanto cara a Papa Francesco, di cui anche oggi la nostra storia drammaticamente globale ha innegabile bisogno. Il martirologio è lunghissimo e nessuno può dire di non sapere. Il primo elenco lo pubblicò l’Azione Cattolica nel 1963 con la presentazione del cardinale Siri, che nel 1945, giovane vescovo ausiliario, salvò Genova dalla distruzione dei nazisti che avevano minato porto e fabbriche, con una lunga e faticosa opera di mediazione: 729 nomi.

Siri scrisse nella presentazione: «Non hanno fuggito il loro posto e le loro responsabilità». Proprio come il Buon Pastore. Ma l’Italia ha dimenticato per troppo tempo i suoi preti ammazzati, una rimozione colpevole che ha avuto diversi protagonisti ognuno con un propria ragione politicamente corretta. Forse oggi è arrivato il tempo di riaprire il cantiere della memoria per confermare la scelta di quelle vittime per amore «in mezzo e dentro» il popolo. Uno studio completo manca, nonostante molti processi di beatificazione. L’ultima, prevista per settembre, sarà quella di don Giovanni Fornasini, uno dei cinque preti uccisi a Monte Sole durante la strage di Marzabotto. Su 729 preti uccisi 422 morirono prima dell’8 settembre 1943: erano cappellani militari uccisi al fronte e parroci finiti sotto i bombardamenti. Durante la Resistenza morirono 191 sacerdoti, di cui 158 trucidati dai nazisti e 33 dai fascisti della Repubblica di Salò. Le vittime degli altri furono invece 108: 53 caduti durante la Resistenza, 14 immediatamente prima del 25 aprile e 41 dopo. Sette sacerdoti furono ammazzati nel 1946, uno nel 1947 e uno addirittura nel 1951.

Prima dell’8 settembre i cappellani morti in battaglia sono stati 148, mentre i parroci uccisi dai bombardamenti 238, più 41 vice-parroci e 129 seminaristi e religiosi. In un solo anno tra il 1944 e il 1954 furono trucidati 326 sacerdoti. Le due regioni più colpite sono l’Emilia Romagna con 122 sacerdoti uccisi, compresi quelli ammazzati dopo la liberazione, e la Toscana, con 75 sacerdoti assassinati quasi tutti durante le stragi dei nazifascisti, eccidi dimenticati per decenni nel cosiddetto «armadio della vergogna» alla Procura militare di Roma. Anche in Europa la lista dei sacerdoti uccisi dai nazisti e dai loro alleati, tra cui la Francia di Petain, è lunghissima. Il tributo più alto è quello dei sacerdoti polacchi, oltre 3 mila di cui 1990 nei campi di concentramento. Solo a Dachau sono morti 782 preti polacchi. Stiamo perdendo la memoria delle loro storie e della loro voce, insieme voce della fede e della libertà. Ma non possiamo permettercelo.

© RIPRODUZIONE RISERVATA