Populismo
e green pass
Scienza
e politica

A fatica, con qualche incertezza e con gli scongiuri del caso, possiamo finalmente dire che s’intravede la luce in fondo al tunnel. Il virus non è ancora stato debellato, ma sembra domato. Accettiamo l’idea che per parecchio tempo ancora sarà un nostro scomodo, ma non letale compagno di strada, e con ogni probabilità ci libereremo dall’incubo. All’inizio, ci siamo fatti forza aggrappandoci alla formula benaugurante, anche se un po’ banale, dell’«andrà tutto bene». Tutto bene poi non è andato. Siamo riusciti comunque, al costo di un lockdown durato alcuni interminabili mesi, a superare la fase più acuta della pandemia.

Il Paese ha retto alla prova con una sorprendente, encomiabile unità. È stato all’affacciarsi dell’imprevista, seconda ondata che si sono manifestati i primi cedimenti. Cedimenti fattisi col tempo vere e proprie fratture.

È normale, anzi doveroso che di fronte a una sfida com’è la diffusione di una pandemia sconosciuta si apra una discussione sugli interventi da attuare (quarantena o vaccinazione di massa), su costi e benefici di ogni intervento (non solo sanitari ma anche economici), su vantaggi e controindicazioni delle cure approntate. Vaccino sì/no, ai soli anziani e ai cosiddetti fragili o all’intera popolazione, greenpass obbligatorio o facoltativo? Nessuno scandalo che le opinioni siano discordi. In democrazia, come nella scienza, il confronto è – meglio, deve essere – la regola. Quello che non si è messo in conto è stata la comparsa contagiosa di un secondo virus, non sanitario ma culturale: il virus del populismo.

L’assunto cardine di questa nuovo orientamento culturale, ormai epidemico in tutte le democrazie, è che esista una contrapposizione incomponibile tra popolo e l’establishment tutto, sia politico che economico, finanziario e intellettuale. Quest’ultimo si comporterebbe come una qualsiasi cupola mafiosa che congiura per mantenere e accrescere il proprio potere, sulla testa e a danno dei cittadini comuni. Ora, con il coronavirus il populismo ha fatto la sua invasione in campo sanitario. La regola dell’uno vale uno è stata applicata alla medicina. Perché il parere di uno scienziato, sospettato di essere peraltro in combutta con i Big Farma, dovrebbe valere più di quella di un semplice cittadino? Perché la comprensibile ritrosia a farsi iniettare un liquido sconosciuto non si deve considerare un legittimo diritto di difesa della libertà individuale? Ancora un passo, e il sospetto che vaccino e green pass siano una prevaricazione autoritaria del potere costituito diventa una verità incontrovertibile.

Una volta abbattuti i presidi della competenza e della professionalità, monopolio – si accusa – di chi il potere se l’è accaparrato e se lo tiene stretto, difendendolo con le unghie e con i denti, tutto si equivale: la ricerca di un virologo e l’hashtag di un sedicente esperto. Non ci vuole niente a trovare nel mare magnum della rete un parere controcorrente, tanto più convincente quanto più consonante con il proprio pregiudizio.

L’ostilità preconcetta all’establishment e complottismo si alimentano a vicenda. S’intrecciano attorno allo stesso presupposto: una visione del mondo duale, in bianco e nero, con la verità (e il popolo) da una parte, e il complotto (e l’establishment) dall’altra. Salta il metodo base della scienza e della democrazia: il confronto delle ipotesi per la prima e delle idee per la seconda. Non si accetta più di procedere per tentativi ed errori, ma si vuol difendere ad ogni costo certezze non dimostrate (in medicina) e convinzioni incrollabili (in politica). È il presupposto di una conflittualità senza fine. Il contrario di quel che è proprio del metodo democratico che persegue la regolazione pacifica del conflitto.

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