Pontida, tanto popolo
Poca politica

Matteo Salvini a Pontida è stato Matteo Salvini: niente di più, niente di meno. Forse qualcosa di più nella scenografia: la Lega, che resta di gran lunga il principale partito, ha schierato sul pratone la propria forza reale, superiore alle precedenti edizioni, mentre l’ex ministro, con la sua presa diretta, ha confermato di aver in mano il proprio popolo. Forse qualcosa di meno nella proposta politica: il Capitano ha fatto il riassunto delle puntate precedenti e la sola novità (il rilancio del sistema elettorale maggioritario) l’aveva anticipata alla vigilia.

Pontida, specie nei periodi di difficoltà come questo, rappresenta il momento delle emozioni e dell’orgoglio e non prevede necessariamente colpi di teatro. Dal celodurismo di Bossi in poi, il raduno degli affetti ex padani ha goduto, quanto a galateo politico-istituzionale, di un bonus di comprensione, quasi una sorta di extraterritorialità. Mai però oltre una certa soglia, fino cioè a giungere alla brutta piega di sabato e di ieri: l’offesa al presidente Mattarella, gli insulti antisemiti a Gad Lerner (che hanno replicato quelli dell’anno scorso ma in modo più insistito e pesante), l’aggressione a un videomaker collaboratore di «Repubblica».

Una deriva sulla quale il Capitano non ha speso una parola di censura, mentre Zaia (secondo nell’applausometro) ha ringraziato i giornalisti per la loro presenza stoppando il malumore dei militanti. Il tradizionale clima da festa popolar-popolana è parso imbronciato, con punte cattiviste: un risentimento netto che ha bersagliato quasi esclusivamente il Pd e Renzi. Persino Napolitano s’è preso una bordata di fischi. Il fatto nuovo, in negativo, è parso questo. La base leghista ritiene che la democrazia sia stata sequestrata dal parlamentarismo e chiede a gran voce le elezioni. La responsabilità del non voto tuttavia andrebbe addebitata al Capitano, perché la Lega paga gli errori di Salvini, del suo maldestro suicidio politico agostano dopo la sconfitta in Europa. Un autoisolamento che lascia congelato il bottino elettorale in Italia. Il leader non ha dato una risposta, se non ricorrendo alla formula autoconsolatoria, ormai un disco rotto, del furto ad opera dei poltronisti. Quella che doveva essere la Pontida del superpoliziotto e della flat tax s’è tramutata nel palcoscenico di una sconfitta, manipolata in modo surreale dall’interessato nel «giorno della vittoria». Salvini aveva intuito il momento della protesta verso l’Europa, non ha però compreso che il vento è cambiato e che il messaggio di Bruxelles è la ricomposizione della Ue: l’ex ministro ha rinunciato ad essere della partita e parte della soluzione, diventando così il problema dei problemi. Non gli resta, allo stato, che rientrare dalla porta delle Regioni per estendere i feudi nordisti e per realizzare un contropotere territoriale rispetto al governo nazionale. Da fine ottobre alla primavera prossima vanno al voto realtà importanti: Umbria (dove Di Maio ha aperto al Pd), Emilia Romagna (la posta strategica), Calabria, Veneto, Toscana, Puglia, Liguria. Una maratona di 23 milioni di elettori, la metà degli aventi diritto. Per uscire dall’angolo, ora Salvini gioca la carta del ritorno al maggioritario, che ha fondato la Seconda Repubblica degli anni ’90. L’iniziativa ha comunque una sua logica spiazzante. Un jolly spendibile in modo trasversale, perché può trovare una sponda nel centrosinistra dove i padri nobili (Prodi, Veltroni, Parisi) sono contrari al proporzionale, il progetto che si sta facendo strada nel Pd come catenaccio anti Salvini. Il maggioritario prevede coalizioni prima del voto e, in linea del tutto teorica, garantisce una certa continuità. Il proporzionale, che presuppone coalizioni in Parlamento (lo schema che ha portato al Conte bis), tutela la rappresentanza elettorale e meno la stabilità di governo. Queste sono le cornici astratte, ma si tratta di stabilire di cosa si parla: quale maggioritario, secco o corretto dal proporzionale, e quale proporzionale, bilanciato da quale soglia di sbarramento per entrare in Parlamento, e Collegi piccoli o grandi? Tante variabili: il vecchio centrodestra con il maggioritario ha i numeri per vincere, ma Berlusconi con il proporzionale avrebbe la possibilità di sganciarsi dalla tutela di Salvini. La convenienza dei Cinquestelle per una formula o l’altra dipende se vogliono correre soli o in compagnia. Una grande confusione. Il Pd, nel frattempo, rischia il caos: da un lato Renzi ha già un piede e mezzo fuori, ma non è chiaro quanti lo seguiranno, dall’altro stanno rientrando gli uomini di Bersani per interposto ministro Speranza. Il centro, ovvero l’isola che non c’è, potrebbe essere di nuovo frequentato. Tutta l’architettura e i suoi attori si stanno muovendo secondo formule prive di riferimenti precedenti. Il sistema è ormai dentro una nuova fase storica segnata da una instabilità cronica, destinata a ridisegnare la mappa politica.

© RIPRODUZIONE RISERVATA