Polemica sterile
e il virus avanza

Quando la piccola politica entra dal portone principale, il buon senso se ne esce dalla finestra. È un po’ quanto successo l’altra sera nell’aula consiliare di Palazzo Frizzoni, dove l’ordine del giorno presentato dalle minoranze per istituire un riconoscimento per i medici e gli infermieri impegnati nella lotta al Covid è stato bocciato dalla maggioranza. Motivo? Non è il Comune a dover riconoscere il lavoro degli operatori sanitari al tempo del coronavirus, ma Regione Lombardia, datore di lavoro delle suddette categorie, colpevole di non averle messe nelle condizioni ideali per poter lavorare durante l’emergenza, non garantendo i dispositivi di protezione nei tempi giusti e un corretto turnover del personale. In realtà non c’è alcun motivo perché un’amministrazione comunale non possa istituire un premio per chi ha duramente lavorato per la comunità, anzi, semmai dovrebbe essere l’esatto contrario. C’è dunque qualcosa che sfugge al buon senso in questa giustificazione, ma non alla logica della piccola politica di bottega.

La «ragione» del veto alla proposta delle opposizioni sta tutta nella polemica politica che già in piena pandemia - quando forse sarebbe stato più utile non sparare letteralmente sulla Croce Rossa, ma remare tutti nella stessa direzione - è stata innescata contro Regione Lombardia e il suo tanto vituperato sistema sanitario, così indigesto agli avversari politici. Che il Servizio sanitario regionale debba essere rivisto è fuor di dubbio (peraltro sarebbe bastato mettere mano alla «riforma Formigoni» in modo più intelligente di quanto fatto nell’estate del 2015 dal governatore Maroni per avere oggi servizi più performanti degli attuali), tuttavia bollare la sanità lombarda come inadeguata a fronteggiare la pandemia non solo non è vero (e lo dicono scienziati del calibro di Alberto Mantovani e Giuseppe Remuzzi, «impact factor» tra i più alti al mondo, il primo punta di diamante della sanità privata lombarda, sulla cui onestà intellettuale non si discute, il secondo suo omologo nella sanità pubblica), ma non ha nemmeno senso, a meno che non si voglia strumentalizzare il tema per fini meramente politici.

Se, come sembrerebbe sostenere la maggioranza che regge il Comune di Bergamo, la mossa delle opposizioni celava in realtà l’intenzione di nascondere le inadempienze di Regione Lombardia durante la fase più violenta della pandemia, a maggior ragione l’amministrazione comunale cittadina avrebbe fatto bene a smarcarsi dal Pirellone, riconoscendo una benemerenza civica (peraltro strameritata) a chi, invece, era stato lasciato a sé stesso proprio da chi se ne doveva prendere cura.

Non solo, facendo propria la richiesta delle opposizioni, Palazzo Frizzoni avrebbe anche dato un senso compiuto alla grandissima catena di solidarietà nei confronti di medici e infermieri innescata dai bergamaschi sin dalle prime settimane di marzo, un «cuore» davvero grande, se si pensa che solamente all’ospedale Papa Giovanni XXIII sono finiti qualcosa come 25 milioni di euro. Insomma, se anche l’Aula del capoluogo bergamasco avesse deliberato un riconoscimento a chi, nelle settimane di marzo e aprile, metteva quotidianamente a repentaglio la propria vita per salvare la nostra, avrebbe fatto – come si dice ai figli quando tornano da scuola con un bel voto – solamente il proprio dovere.

Decisamente più puntuale, invece, l’appello che ieri il sindaco Gori ha voluto rivolgere ai cittadini sull’urgenza di ritrovare il senso di responsabilità che ha contraddistinto i bergamaschi durante le fasi più «concitate» della pandemia. La «stretta» decisa da governo e Regione nei giorni scorsi non è solo necessaria, ma anche inderogabile, e a dirlo - banalmente, ma inequivocabilmente - sono i numeri, compresi quelli di ieri, in Italia come in molte delle province lombarde a noi vicine, che da giorni ci stanno «accerchiando». Milano, Varese, Monza, Brescia, Mantova fanno segnare incrementi significativi. Nella Bergamasca stiamo decisamente meglio di altri, ma è bene non dimenticare che la teoria secondo cui oggi siamo più riparati dal Covid grazie a una sorta di «protezione di gregge» instauratasi per la massiccia diffusione del virus nella nostra terra è ancora una «suggestione», che certo racchiude del vero, ma che dal punto di vista scientifico non vanta ancora alcuna conferma. Siamo stati tra i più virtuosi nel rispetto delle regole: andiamo avanti così. Non sarà una birretta di meno dopo cena o una partita di calcetto saltata a cambiarci la vita, ma un minuscolo virus invisibile sì, quello la vita ce la può cambiare davvero, e in peggio. E allora stringiamo i denti ancora per qualche settimana (cinque o sei) e con un po’ di fortuna riusciremo a goderci anche la gioia del Natale, senza angosce.

Infine non lasciamoci irretire dal canto delle sirene dei vaccini. Le prime dosi - come dice il premier - saranno pronte a dicembre? Bene, ma non facciamoci illusioni. Oggi abbiamo quattro vaccini in fase 3 avanzata, un traguardo impensabile prima dell’inizio della pandemia, ma non sappiamo se funzioneranno tutti o solo uno, o nemmeno quello. E non sappiamo in quanto tempo saranno prodotti e distribuiti a tutti, nessuno escluso. Le premesse ci sono tutte, ma nell’attesa non molliamo gli unici veri vaccini che possediamo già e che hanno dimostrato di funzionare bene: distanziamento, ripetuti lavaggi delle mani e mascherina su naso e bocca. A volte, nella fretta, capita di dimenticarsene: sentiamoci in colpa quando ciò accade. Non solo ne va della nostra salute, ma anche di quella degli altri. Questo non dimentichiamolo.

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