Pnrr, pochi fondi spesi in cantieri e investimenti

ECONOMIA. Farà anche bene, per ragioni politiche comprensibili, la premier Meloni a dire che nell’utilizzo dei fondi europei pagati dal debito comune, l’Italia sta meglio degli altri Paesi, ma è una classifica effimera, con comparazioni complicate.

Quelle che interessa valutare sono invece le cifre finalmente fornite dal Governo stesso, che spiegano perché una massa di 194 miliardi, di cui 102 già versati all’Italia, non spostano i parametri base della nostra finanza pubblica. Si stimava che potessero influire per un incremento del 2,5 del Pil, e invece, a metà strada, ci troviamo a galleggiare sul vecchio zero virgola.

Il fatto è che i soldi spesi, su 102 ricevuti, sono 45,6 miliardi. Ben poco in cantieri e investimenti tangibili, sostanzialmente l’11% del totale. Di quei 45,6 miliardi, per capirsi, 26,74 sono ingoiati dal vasto mondo dei bonus e Superbonus (quest’ultimo per 14), e per fortuna c’è anche un po’ di Industria 4.0 e incentivi a ricerca e sviluppo (anche se solo 2). Soldi che si possono spendere in fretta, senza trafile o appalti come quelli per opere pubbliche. Il difficile, in termini di capacità di spesa, deve ancora venire.

È così, in verità, fin da quando c’era Draghi, che ha contribuito a spendere i primi 24 miliardi in interventi anch’essi con poco impatto sul Pil, ma resta il fatto che nel 2023 la spesa di 21 miliardi è lontana dal produrre la spinta sperata.

Risultato? Ci saranno ora da spendere, prima che il Piano si chiuda nel 2026, qualcosa come 50 miliardi all’anno, ed è cosa da capogiro, con questo ritmo.

Intanto, tutte le previsioni fatte sono seccamente smentite. Nei Def di Draghi si prevedeva di spendere 85 miliardi, scesi poi a 77 e ancora a 61. Con Meloni si è andati più cauti e sotto la sua gestione si attendevano tra i 38 e i 43 miliardi, a seconda dell’epoca; 21 miliardi sono poco più della metà di quanto previsto solo pochi mesi fa.

La spesa veloce, efficiente, poteva essere quella dei Comuni, che in effetti hanno presentato e avviato migliaia di microinterventi. Ma sono proprio i 2,7 miliardi che Fitto ha stralciato dal piano, rimandando tutto ad un finanziamento di provenienza diversa dal Pnrr (fondi europei normali o altri debiti?). Guadagnandosi, con questo, l’ostilità di sindaci di tutti i colori, che oggi si trovano a mezz’aria, impegnati a chiudere opere ma senza avere la copertura, per ora solo promessa (basta leggere la cronaca dei Comuni).

Al di là delle macro cifre, c’è poi da preoccuparsi per certe magre uscite in settori molto delicati. Prendiamo il caso Sanità, in un Paese che ha rifiutato con arroganza il Mes sanitario. Qui, il Pnrr mette a disposizione 15 miliardi. Perché risultano spesi solo pochi centinaia di milioni? Non diciamo tutti i giorni che c’è una straziante lista d’attesa per interventi sanitari anche urgenti? E che è un Purgatorio dantesco la sosta nei Pronto Soccorso?

Non si tratta di far classifiche di efficienza tra i ministri, altrimenti dovremmo registrare che quello dell’ambiente è il più bravo, se non fosse che il suo budget è gonfiato dai miliardi del bonus edilizio. Ma, a proposito di numeri, che dire del ministero di Salvini, che ha usato solo l’11% dei soldi a disposizione? Vero è che qui non si tratta di poste finanziarie su una tabella, ma di cemento e asfalto, ma avendo ben 33 miliardi da spendere, cinque volte di più di quanto per ora realizzato, dovrà passare i prossimi due anni rinunciando a comizi e uscite tv e social, per star dietro al lavoro.

Scherzi a parte, il problema è serio perché le aziende del settore denunciano carenza di mano d’opera adatta e si è già visto con il Superbonus quanto siano grandi i rischi anche di sicurezza se un cantiere è affollato di addetti improvvisati.

© RIPRODUZIONE RISERVATA