Più forti sui mercati, investendo in fabbriche

MONDO. Ancora una volta i dati sulle esportazioni certificano la capacità delle nostre imprese di difendersi sui mercati internazionali e di andare a vendere dove la domanda c’è. Siamo riusciti infatti a chiudere con un calo tutto sommato contenuto un 2024 che era iniziato malissimo.

Il conto di fine anno parla per l’export bergamasco di un meno 0,4%. Per capirci, è una limatura che vale 120 milioni di euro a fronte di un totale comunque rotondo di 20,64 miliardi (era 20,76 miliardi nel 2023). Poco più di un ritocco a questi livelli da piani alti della classifica nazionale (siamo quinti, dopo essere stati quarti nel 2023). Il risultato assume ancora più valore se pensiamo che l’anno scorso era iniziato con un tonfo del 5,8% nel primo trimestre, appesantito dalla frenata della Germania, ma anche della Cina e, già allora, degli Stati Uniti. Siamo riusciti a recuperare terreno in altre zone, nel Regno Unito ad esempio, nonostante la Brexit, ma anche in Spagna e in mercati non tradizionali come l’Arabia e il Sud del mondo, dall’America latina ad alcune zone dell’Africa.

Le incognite della presidenza Trump

Tutto bene dunque? Non proprio. Le turbolenze innescate dalla presidenza Trump, che ha subito ripreso la sua personale battaglia sui dazi da dove l’aveva lasciata alla fine del primo mandato nel 2021, non aiutano certo a rasserenare l’orizzonte. Al momento siamo di fronte a una eventualità e, visto quanto già successo con il pugno duro verso Messico e Canada - economie peraltro integrate con gli Usa - che continua ad oscillare fra applicazioni e sospensioni, è da vedere quando e come si passerà dalle minacce verbali all’introduzione concreta di possibili tariffe.

Le filiere di fornitura corte

In ogni caso, per quanto è nelle possibilità delle decisioni nazionali e comunitarie, prima che delle barriere doganali sarebbe bene preoccuparsi dello stato di salute e delle prospettive della nostra industria: dobbiamo avere merci da vendere per poterle esportare. È su questo versante che da decenni ormai l’iniziativa politica procede piano. E non si tratta di alzare difese giocando su balzelli che destabilizzano la fiducia sui mercati, bensì di investire in produzioni, filiere, conoscenza, avanguardie.

Aveva fatto ben sperare l’European Chips Act varato dopo la lezione impartita dalla pandemia sull’utilità di filiere di fornitura corte, possibilmente disponibili in casa propria. L’obiettivo era rivitalizzare la nostra capacità di fabbricare semiconduttori: qualcosa si è mosso, ma per arrivare ai 43 miliardi di investimenti preventivati ancora ce ne vuole.

I settori strategici

Il punto è da una parte continuare a mettere nelle nostre produzioni qualità e valore aggiunto che fanno la differenza, come peraltro già sappiamo fare in vari campi: di fronte all’unicità, non c’è dazio che tenga. E dall’altra, soprattutto, esserci come Europa nelle produzioni strategiche; auto elettrica compresa, con tutta la gradualità che può essere necessaria per evitare contraccolpi sociali ma anche con la convinzione che serve per non lasciare alla Cina un primato che detiene già.

È sempre utile fare tesoro degli insegnamenti del passato, soprattutto degli errori. L’Europa può esserci, nell’auto elettrica come nelle terre rare come in altri settori

Una lezione utile e illuminante ci arriva al riguardo dalla storia dello sfruttamento delle terre rare, di cui si è parlato domenica su queste pagine: i primi utilizzi risalgono agli anni Sessanta e Settanta, distribuiti fra Usa, l’allora Urss e Cina; ma mentre i primi due hanno smobilitato i loro sistemi nei due decenni successivi, la Cina è andata avanti e ha accumulato il vantaggio competitivo di cui gode ancora oggi. È sempre utile fare tesoro degli insegnamenti del passato, soprattutto degli errori. L’Europa può esserci, nell’auto elettrica come nelle terre rare come in altri settori. Le basi industriali, le competenze e la capacità di investire non ci mancano. C’è solo da sperare che il futuro prossimo della politica industriale comunitaria non venga scritto solo dalle armi.

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