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L'Editoriale / Bergamo Città
Martedì 25 Febbraio 2025
Piccoli paesi, per resistere serve farsi ascoltare
ITALIA. Nei piccoli Comuni sotto i 5mila abitanti vivono circa 13 milioni di italiani.
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«La piccola, grande Italia», la chiamava Ciampi. Nella Bergamasca sono 168 su 243 e ci vive il 30,8% della popolazione, il doppio della media nazionale. Dei piccoli Comuni si parla raramente, e quando se ne parla, di solito, è perché c’è una polemica (vedi il recente caso dell’assalto alle piste da sci di Roccaraso, o in casa nostra il dibattito attorno al nuovo comprensorio sciistico Colere-Lizzola). Se ne parla anche quando prevale la retorica dell’autentico, del paradiso nascosto, del mondo a misura d’uomo che rischiamo di perdere per sempre. Qualsiasi tentativo di rappresentazione delle «aree interne», sconta il deficit di parola proprio di chi abita nei piccoli paesi. Non perché gli abitanti non abbiano voce, ma perché non hanno sufficiente rappresentanza politica.
Il continuo declino demografico
A parlare, purtroppo, restano i numeri. Che indicano un declino demografico inarrestabile nelle aree interne, in Italia come nella Bergamasca.Nelle statistiche di Ifel, fondazione di Anci, si legge che rispetto ad una dinamica generale di invecchiamento della popolazione, l’età media nei piccoli comuni è da 20 anni a questa parte più alta di un anno rispetto alla media italiana. E nell’ultimo decennio la differenza fra l’età media dei piccoli comuni e i grandi comuni è passata da 1 anno a un 1 e mezzo circa. La sofferenza demografica del nostro Paese è come amplificata nei territori dei piccoli comuni. E gli effetti sono lampanti: sempre prendendo a prestito le statistiche di Ifel, nel triennio 2020-2022 i piccoli comuni hanno perso circa 32mila imprese nel settore del Commercio all’ingrosso e al dettaglio. Il 13,6% dei piccoli comuni non ha farmacie sul proprio territorio. Il 56% dei piccoli comuni non ha sportelli bancari. Questa percentuale sale all’87% nei comuni fino a 1.000 abitanti. Con piccoli centri sempre più spopolati e invecchiati, pochi bambini e una popolazione attiva in fuga, anche i servizi vengono progressivamente erosi, attestandosi nei paesi più popolosi.
Gli esempi virtuosi
Difficile nuotare controcorrente, quando tutti i segnali vanno in un’unica direzione. Eppure gli esempi virtuosi non mancano, anche nella Bergamasca. Li abbiamo raccontati anche sul nostro giornale: la cooperativa di comunità di Dossena che sta cercando di rivitalizzare il paese, gli imprenditori dell’alta Val Seriana e della Val di Scalve che hanno fatto rete per sviluppare il turismo, le attività economiche che resistono anche in condizioni logistiche proibitive (pensiamo, per citare un caso di questi giorni, ai disagi che sta attraversando la Stella alpina per via della strada crollata al lago del Bernigolo).
Proposte: la defiscalizzazione
L’impressione però è che si tratti quasi sempre di fughe in avanti, di tentativi spesso al limite dell’eroico. In attesa che qualcuno raccolga il testimone. Come ha detto il presidente di Uncem Marco Bussone, «servono provvedimenti che non siano bonus una tantum, ma norme stabili». Come la defiscalizzazione per i cittadini e le imprese delle aree interne. O il criterio della popolazione equivalente per la garanzia dei servizi. Magari uscendo dalla logica dei bandi, la cui mannaia burocratica taglia fuori preferibilmente i più piccoli.
Giocare di squadra
Per farlo, però, occorre essere uniti. Mettere da parte i campanilismi e le odiose dinamiche conflittuali tra centro e periferia. Se non si può invertire un trend demografico che sembra irreversibile, lo si può certamente governare. Ma occorre riuscire a far sentire la propria voce giocando in squadra. E fare affidamento su leve politiche che superino l’emotività del momento, modello Roccaraso, rivendicando, al di fuori di ogni retorica, l’importanza strategica delle aree interne nella sopravvivenza del nostro ecosistema.
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