Piario, sconfitta
che fa male a tutti

Comunque la si veda, da oggi la Bergamasca è (ancora) un pochino più povera. La chiusura del «Punto nascita» dell’ospedale di Piario è un fallimento per tutti noi, per la comunità e per i suoi amministratori, anche perché – polemiche a parte – è davvero difficile imputare in toto a questo o a quell’ente la «maternità» del provvedimento. Colpa del ministero della Salute che non ha accettato la sperimentazione proposta da Regione Lombardia?

Colpa di Regione Lombardia che non è più riuscita a garantire la copertura dei ruoli (pediatri e anestesisti in primis) necessari previsti dalla legge? Colpa dell’ospedale che non è stato in grado di rendersi attrattivo nei confronti di medici e future pazienti? Colpa degli amministratori che non hanno trovato le chiavi giuste per convincere le giovani coppie a diventare genitori? Va da sé che, alla fine, una sconfitta che ha così tante mamme, non è figlia di nessuno…

Tuttavia - come sempre accade - è dal «caos» di tutte queste cose messe insieme (e altre ancora) che nasce la morte del «Punto» di Piario. Il prossimo 23 dicembre il Servizio sanitario nazionale festeggerà i suoi primi 40 anni e in tutta Italia (Bergamo compresa, che se ne occuperà venerdì in Sant’Agostino) è al centro di molti check-up per cercare di capire il suo stato di salute. Complessivamente uno tra i migliori al mondo (in particolare quello lombardo), il nostro Ssn è comunque da tempo un malato cronico che difficilmente riuscirà a guarire, soprattutto se le cure di un bel

po’ di governi da qualche anno a questa parte non sono state trasfusioni, ma salassi (di fondi). Ci mancava poi la creazione del sistema di finanziamento misto socio-sanitario per non capire più chi prendeva cosa e quanto, e se - alla fine - prendeva più o meno di prima.

Sta di fatto che quello dei soldi resta uno dei problemi più gravi della sanità italiana, alle prese non solo con una vita che si allunga sempre di più e con farmaci sempre più efficaci e anche molto costosi, ma con l’erogazione di servizi che non potrà continuare ad essere fatta così ancora per molto (i livelli essenziali di assistenza - le prestazioni e i servizi che il Servizio sanitario nazionale è tenuto a fornire a tutti i cittadini, gratuitamente o dietro pagamento del ticket - prima o poi subiranno una drastica riduzione o un incremento della compartecipazione del paziente), con uno spreco a cui sembra impossibile mettere un freno (se il costo di un «ago penna» per l’insulina dei diabetici può variare da 2,03 euro a 48,4 euro a seconda che lo compri la Regione X o la Regione Y…), e con un’inefficienza che se fosse rappresentata in un grafico potrebbe essere tranquillamente scambiato per quello del più classico dei «tapponi» dolomitici della corsa in rosa, pieno zeppo di salite e discese.

L’ampliamento dell’offerta, anche attraverso la sanità privata, ha poi innegabilmente contribuito a far esplodere la domanda, argomento su cui la sensibilità di noi italiani è elevatissima, e non c’è buon senso che tenga (vedasi i consueti assalti ai Pronto Soccorso per banalissimi problemi di salute). Certo che in un Paese in cui il recupero dell’evasione fiscale equivarrebbe già di per sé ad una manovra finanziaria, è piuttosto fastidioso sentir continuamente parlare di tagli in settori chiave come sanità e scuola. Con un sistema sempre più povero di risorse, va da sé che anche il Punto nascita di Piario non potesse sopravvivere a lungo.

Ma i soldi sono solo una parte del problema. Vogliamo parlare delle politiche a sostegno della famiglia nel nostro Paese? Vogliamo parlare degli incentivi (in particolar modo quelli fiscali) che nel corso degli anni sono stati dati alla famiglia, quella prevista dalla Costituzione? Forse è meglio lasciar perdere, perché scopriremmo che se ne fa un gran parlare nel corso di ogni campagna elettorale, ma alle parole non seguono mai i fatti, se non palliativi. Tra il lavoro che non c’è – o è precario per definizione – e gli incentivi che non si vedono, è davvero difficile ipotizzare che la curva demografica dello Stivale torni a crescere in maniera significativa, contribuendo in qualche modo a ridare fiato e speranza a questo Paese (anche solo sul fronte pensionistico…).

Alle inadeguate politiche per la famiglia si possono tranquillamente associare anche quelle per la montagna, spesso tardive - decise quando ormai il punto di equilibrio per tamponarne l’abbandono era stato già oltrepassato - e nemmeno omogenee, sia a livello nazionale sia a livello regionale. Le nostre Valli, ad esempio, non sono inserite nella «Strategia nazionale Aree interne» in base alla quale Regione Lombardia ha individuato 4 aree (Valchiavenna, Alta Valtellina, Alto Oltrepò e Alto Lago di Como) cui sono destinati in vario modo significativi investimenti, «garantendo in particolare l’erogazione di risorse sui servizi essenziali di cittadinanza, per permettere la permanenza delle popolazioni sul territorio (oltre a risorse comunitarie anche risorse ordinarie)». Eppure le loro caratteristiche - isolamento geografico, calo demografico e bassi livelli nell’offerta di servizi essenziali di cittadinanza – sono identiche a quelle che da anni lamentano anche la Val Brembana, l’Alta Val Seriana e la Val di Scalve.

E per finire le politiche legate alla mobilità. Due piccole annotazioni, perché lo spazio stringe. Del progetto della Variante di Zogno si parla da almeno trent’anni, il cantiere è stato aperto sei anni fa – nel 2012 – è chiuderà (incrociamo le dita) nel 2020. La strada provinciale della Valle Seriana, da Albino in poi, è fissa e immutabile da tempo immemore (ad eccezione della piccola variante tra Clusone e Rovetta) e per scendere dall’Alta Valle in un giorno normale a volte non bastano nemmeno 90 minuti.

Il Punto nascita di Piario poteva dunque rimanere aperto ancora a lungo? La risposta è superflua, le decisioni politiche ne hanno via via tracciato il destino. Ma se «la storia siamo noi», noi tutti, con le nostre scelte, nessuno deve sentirsi offeso…

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