L'Editoriale
Mercoledì 22 Marzo 2023
Perché Pechino abbraccia Mosca
Mondo. Quello che la Russia cerca dalla Cina è chiaro: spazio strategico contro l’isolamento rispetto all’Occidente e ossigeno economico contro le sanzioni. Non a caso ieri Vladimir Putin ha esaltato gli scambi commerciali, che nel 2022 sono arrivati alla cifra record di 185 miliardi di dollari e nel 2023 sfonderanno la quota anche simbolica dei 200 miliardi.
Ma la domanda vera è: che cosa cerca la Cina in Russia? Che cosa vuole ottenere Xi Jinping abbracciando con tanta cordialità politica e personale uno Zar che un terzo del mondo considera un guerrafondaio, un dittatore, ora anche un sequestratore di bambini? Dieci anni fa, quando fu eletto presidente, Xi Jinping compì la prima visita di Stato in Russia. L’altroieri è tornato a Mosca, nel primo viaggio all’estero dopo essere stato rieletto per la terza volta. In questo decennio ha incontrato Putin una quarantina di volte, più di qualunque altro leader. Davvero crediamo che sia un caso?
Decifrare le intenzioni dei cinesi è sempre complicato. È chiaro però che il leader cinese considera strategico il rapporto con la Russia. La leadership di Xi Jinping è stata fin dal primo momento caratterizzata da una sorta di assunzione di responsabilità: con lui la Cina ha smesso di fingere, o di esitare, per dichiarare apertamente l’ambizione a giocare un ruolo di primo piano negli equilibrii internazionali. In altre parole, Xi pensa che il Ventesimo secolo sia stato il secolo americano ma che il Ventunesimo dovrà essere il secolo cinese. Graham Allison, uno studioso americano della Cina, ha usato una gustosa immagine: Xi Jinping è Trump cinque anni prima di Trump. È il leader che vuole «make China great again».
Non a caso il presidente cinese è il leader più attivo e propositivo (ovviamente negli interessi del proprio Paese) sulla scena internazionale. Solo nelle ultime settimane ha mediato la ripresa delle relazioni diplomatiche tra Arabia Saudita e Iran, per molti anni nemici giurati al punto di minacciarsi la guerra, e ha proposto un «piano di pace» tra Russia e Ucraina che può essere criticato fin che si vuole ma resta l’unico finora prodotto, annullandosi a vicenda sia quello ucraino (ritiratevi) sia quello russo (arrendetevi). Si guardi, per contrasto, alla politica estera degli Usa di Joe Biden: rendite di posizione, vecchie alleanze, qualche smottamento su fronti (Turchia, Arabia Saudita…) che un tempo parevano garantiti. A ben vedere, l’ultima iniziativa politica innovativa è stata quella presa da Donald Trump con gli Accordi di Abramo, che hanno riaperto le relazioni tra Israele e le monarchie del Golfo Persico. Il sostegno Usa all’Ucraina è importante ma non è certo una novità politica.
Per quanto la Cina sia oggi un Paese molto più potente della Russia, soprattutto dal punto di vista economico (il Pil cinese nel 2021 è arrivato a quasi 18mila miliardi di dollari, quello russo a 1,8), ha comunque bisogno di una stretta relazione con la Russia. Perché al vertice, nella competizione tra le nazioni, c’è posto per un solo Paese e la Cina da sola, oggi, non è ancora in grado di sfidare gli Usa, il loro potere economico (Pil 2021 a 23mila miliardi di dollari), militare (budget per la Difesa Usa a 847 miliardi di dollari, quello cinese a 209), politico (l’influenza su Nato, Ue, Fondo monetario internazionale, o la rete delle alleanze). Ben venga dunque per Pechino la Russia a fare da prima linea nel confronto con l’Occidente a guida americana, e a impegnare gli Usa in un confronto in Europa che sottrae loro risorse e attenzione per gli altri fronti. Ma non solo. Cina e Russia stanno realizzando, sia pure in condizioni di emergenza per la pressione delle sanzioni, il sogno che il Cremlino ha a lungo cullato nei confronti dell’Europa: l’alleanza tra gli estrattori (la Russia delle materie prime, che non sono solo gas e petrolio) e i trasformatori (il sistema industriale cinese). È vero, la Russia è oggi costretta a vendere a prezzi di realizzo, ma questo semmai agevola la Cina e la rende ancor più competitiva. Per cui la conclusione è che la Cina, in Russia, cerca la conferma delle proprie ambizioni. In quel modo sapientemente obliquo che più le appartiene.
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