L'Editoriale
Lunedì 06 Gennaio 2025
Per l’Unione la sfida è non essere irrilevante
MONDO. Sono molti gli interrogativi che incombono sull’anno che si apre.
Sono molti e gravi: lo possono rendere un annus horribilis o – ce lo auguriamo – un annus mirabilis, di riscatto per l’Italia e per l’Europa. Una guerra sull’uscio di casa. Un’altra guerra che incombe sul Mediterraneo. La pressione espansionista di Russia e Cina, due potenze imperialiste decise a dilagare in ogni continente (Putin s’è già installato in Libia, a 100 km dalle nostre coste). La prospettiva per noi europei di dover mandare un contingente militare a presidio del confine con la Russia nel caso dell’auspicata pace tra Mosca e Kiev. La nuova impennata dei prezzi dei combustibili. La minaccia trumpiana di dazi doganali sulle nostre esportazioni. A chiudere il cerchio di fuoco che siamo chiamati ad attraversare, un’Ue anatra zoppa, con Germania e Francia, le sue due colonne portanti, arenate in un pantano politico. Lungi da noi voler suscitare allarmi ingiustificati. Pensiamo solo che sia bene prender coscienza dei pericoli che incombono sul nostro futuro prossimo.
Il peso dell’Europa nel contesto internazionale
Sul corso degli avvenimenti che si svolgeranno a livello planetario, è evidente che l’Europa, e tanto più l’Italia, potranno fare ben poco. Sulla nostra capacità di scansare o, quanto meno, di ridurre i danni delle bufere politiche, economiche, militari in corso, molto dipenderà comunque dall’assetto di cui l’Ue riuscirà in tempo breve a dotarsi.
È a tutti evidente che nelle sue attuali condizioni l’Europa è destinata a subire l’iniziativa altrui. Ci si era illusi che l’unione economica e monetaria di cui si è dotata fosse la migliore ricetta per
È a tutti evidente che nelle sue attuali condizioni l’Europa è destinata a subire l’iniziativa altrui
preparare anche la sua unità politica. Non è stato così, e non può più essere così. Non c’è più un mondo bipolare ma multipolare. Non c’è più un ordine internazionale garantito da due grandi potenze, Usa ed Urss, ma un disordine generalizzato che genera continui conflitti senza che si intraveda un’autorità sovranazionale (dov’è finita l’Onu?) capace, non diciamo di superarlo, ma almeno di arginarlo. Muoversi in questo mare procelloso esige che si sia in grado da soli di affrontare i flutti. Nessuno più è, infatti, intenzionato – né ha più interesse – a venirci in soccorso. In parole povere, o la Ue diventa un’entità politica, con una propria politica estera e una capacità di auto-difesa, o sarà alla mercé del mare in burrasca.
Le premesse per l’Europa non sono buone
Purtroppo per noi, le premesse non sono buone. Non solo manca un saldo sentimento patriottico europeo, condizione essenziale di ogni grande progetto di unificazione politica. C’è una diffusa sfiducia nei confronti del progetto europeo. Il record è dell’Italia. Ben il 71,4% dei nostri concittadini giudica il progetto europeo inesorabilmente destinato al fallimento, e tutto questo in un quadro generale di sfiducia nel destino dell’Occidente. Il 70,8% attribuisce alla civiltà euro-atlantica le maggiori colpe dei mali del presente, fino a giudicarla responsabile delle guerre sia in Ucraina sia in Medioriente.
Le premesse non sono, insomma, incoraggianti. Cittadini scettici e governi con le mani legate dall’euro-scetticismo dei loro cittadini. Abbiamo visto però che di fronte a emergenze esistenziali, prima la pandemia e poi l’aggressione russa all’Ucraina, ha fatto scattare nell’Unione un provvidenziale spirito di solidarietà che l’ha resa capace di affrontare solidalmente sfide tremende. Forse, è proprio la drammaticità del contesto che fa ritrovare agli europei (noi italiani ne sappiamo qualcosa!) la forza per invertire uno scivolamento verso il collasso. Certo, all’Europa manca un leader all’altezza della sfida, un Garibaldi che ci inciti: «o si fa l’Europa o si muore». Morire no, ma che si debba affidare il nostro destino ad altri, non ben intenzionati, questa è una sciagurata probabilità che si deve scongiurare.
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