Per i piccoli comuni
un treno imperdibile

Due bergamaschi su tre vivono in piccoli Comuni sotto i 5.000 abitanti. Parliamo di 336 mila persone, praticamente una città come Bari. Sgombriamo subito il campo da letture bucoliche: non si tratta solo di Orobie. Anche nell’Isola e nella bassa pianura ci sono diversi comuni che non arrivano a 5.000 abitanti. Parliamo quindi di zone eterogenee, ma con un deficit comune di rappresentanza politica e mediatica. I piccoli Comuni interessano poco, con qualche eccezione in periodo elettorale. Ogni tentativo politico e culturale di riunire le comunità è fallito, dissolto di fronte a identità poco più che nucleari, ma granitiche e storicamente fondate (pensiamo alla vicenda di Blello con i suoi 70 abitanti: ancora, fieramente, Municipio). L’Italia è il Paese dei Comuni, la sua varietà paesaggistica e antropologica è ciò che la rende speciale agli occhi del mondo. Nel nostro Paese i Comuni sono 7.903. Non è un primato: la Francia ne ha oltre 36 mila, la Germania 11 mila, il Regno Unito 10 mila.

La particolarità dell’Italia è però il grado di autonomia amministrativa e finanziaria dei Comuni, ben ancorata a una tradizione che affonda le sue radici nelle istituzioni delle pievi nell’Alto medioevo, su su fino alla «rustica virtù» di Carducci, spaziando fino alle spinte autonomiste del secondo Dopoguerra.

La preservazione delle identità politiche ha però un prezzo in termini di gestione amministrativa, e lo documentiamo puntualmente sulle nostre pagine mano a mano che i piccoli Comuni si trovano ad affrontare il cambiamento.

In genere il verbo che più si addice al loro status è «arrancare». I piccoli Comuni arrancano con i Pgt, arrancano nel chiudere i bilanci, arrancano nel garantire i servizi e nella promozione dei territori… Sindaci e tecnici si trovano a dover gestire incombenze più grandi di loro, con segretari a scavalco presenti magari un paio d’ore a settimana, un organico spesso ridotto a due, tre persone quando va bene, professionisti esterni che non ci si può più permettere di pagare... Ed ecco che anche una grande opportunità di sviluppo come il Piano nazionale di ripresa e resilienza è già diventato uno spauracchio prima ancora di entrare in azione. E un formidabile strumento di prevenzione come il green pass rischia di diventare un ostacolo alla normale attività amministrativa.

Eppure nei piccoli comuni italiani la concentrazione di imprese è più alta che nei grandi centri e il 92 per cento delle produzioni tipiche nazionali nasce proprio nei piccoli borghi italiani , per non parlare delle enormi risorse idriche e del relativo potenziale idroelettrico. Oltre all’aria pura e al paesaggio, che diamo per scontati ma che non lo sono affatto e che dal Covid in poi sono diventati risorse (esauribili) ancora più preziose. Pochi hanno saputo trovare gli strumenti per dare valore a tutto ciò.

La situazione è peggiorata, se possibile, con la riforma delle Province. Dal 2014 lo svuotamento degli enti intermedi ha avuto l’effetto nocivo di lasciare ancora più soli i Comuni. Senza il consenso popolare necessario per approdare alle Unioni, che nelle intenzioni del legislatore dovevano garantire il giusto volume all’azione amministrativa, senza l’appoggio della Provincia, ridotta a un ruolo di coordinamento senza più costituire un solido ponte nella trasmissione del potere verso gli enti superiori, i sindaci e gli sparuti funzionari comunali rischiano di perdere l’imperdibile treno del Pnrr.

Senza avanzare nostalgie per certi baracconi del passato che ci siamo lasciati alle spalle speriamo per sempre, la necessità di un ente in grado di fare sintesi, dove il territorio possa sentirsi rappresentato, ma anche trovare competenze, si sente eccome.

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