Pellegrini di speranza nell’incontro con i malati

LA GIORNATA DEL MALATO. Il pellegrinaggio è una delle esperienze caratteristiche del Giubileo. In molti in questo anno si recheranno a Roma, sulla tomba degli Apostoli, meno purtroppo nella martoriata Terra Santa, moltissimi saranno i cristiani che raggiungeranno i luoghi giubilari sparsi nelle diverse diocesi del mondo.

Quattro sono le Porte Sante aperte a Roma e nella nostra diocesi, quattordici sono le Chiese giubilari, ma vi sono pure una miriade di luoghi giubilari «nascosti» e disseminati capillarmente in ogni angolo della nostra terra che possono e devono divenire una speciale meta del nostro pellegrinaggio. In un suggestivo passaggio delle norme della Penitenzieria Apostolica per il Giubileo si legge: «Allo stesso modo i fedeli potranno conseguire l’Indulgenza giubilare se si recheranno a rendere visita per un congruo tempo ai fratelli che si trovino in necessità o difficoltà, quasi compiendo un pellegrinaggio verso Cristo presente in loro e ottemperando alle consuete condizioni spirituali, sacramentali e di preghiera». L’ingresso di un’abitazione, la soglia di una stanza di ospedale o di una Casa di riposo possono così divenire «porte sante» e il nostro andare ad incontrare chi tra quelle mura è costretto dalla malattia è «quasi un pellegrinaggio verso Cristo stesso». Non è meravigliosa la fantasia della carità?

L’ingresso di un’abitazione, la soglia di una stanza di ospedale o di una Casa di riposo possono così divenire «porte sante» e il nostro andare ad incontrare chi tra quelle mura è costretto dalla malattia è «quasi un pellegrinaggio verso Cristo stesso»

La visita ai malati

Il Giubileo ci chiede di approfondire e vivere questa possibilità considerandola non solo come risposta al bisogno dei malati, ma come un’occasione da riscoprire come singoli e come comunità. Nella bolla di indizione del Giubileo il Papa scrive che «le opere di misericordia sono anche opere di speranza, che risvegliano nei cuori sentimenti di gratitudine» e verrebbe da dire che senza le opere di misericordia - e la visita ai malati è una di queste - le nostre parole di speranza rischiano di rimanere vuote se non addirittura fastidiose. Questa singolare forma di pellegrinaggio costringe a misurarsi con l’essenziale della vita. Nella malattia contano poche cose: la cura da parte dei sanitari certamente, ma anche, e a volte soprattutto, la vicinanza di qualcuno che sostiene la nostra umanità divenuta improvvisamente fragile. È un esercizio che ci ricorda che poche cose sono necessarie e molte di quelle che abbiamo e rincorriamo freneticamente, sono secondarie.

Un incontro fatto con calma

Mi colpisce l’espressione «un congruo tempo»: significa un incontro fatto con calma, vincendo i ritmi frenetici delle nostre giornate e superando la tentazione di fuggire davanti all’inevitabile imbarazzo che l’incontro-scontro con la condizione di fragilità e sofferenza provoca in ciascuno: il pellegrinaggio non è una scampagnata, ma un cammino impegnativo, talora sfiancante e chiede la disponibilità di lasciarsi spogliare dalle risposte preconfezionate, dalle presunte sicurezze, dai facili giudizi e consigli, ma fa anche dono di nuovi sguardi sulla vita, sulle sue priorità, sui propri desideri più profondi e sul proprio cammino di fede.

«I luoghi in cui si soffre sono spesso luoghi di condivisione, in cui ci si arricchisce a vicenda. Quante volte, al capezzale di un malato, si impara a sperare! Quante volte, stando vicino a chi soffre, si impara a credere! Quante volte, chinandosi su chi è nel bisogno, si scopre l’amore!»

Ho scoperto qualche giorno fa che una prassi dell’VIII secolo prevedeva che prima di ricevere l’Unzione degli infermi al malato venisse portata la Comunione per sette giorni consecutivi, e che nella Chiesa ortodossa sono necessari almeno due sacerdoti per amministrare questo sacramento, elementi che raccontano di una presenza corale della Chiesa prolungata nel tempo come contesto ideale perché i segni della Grazia manifestano tutta la loro potenzialità. Nel suo messaggio per questa prossima 33ª Giornata mondiale del malato Papa Francesco parlando della presenza di Dio vicino a chi soffre, dopo aver sottolineato il tema dell’incontro e quello del dono si sofferma sulla condivisione e così si esprime: «I luoghi in cui si soffre sono spesso luoghi di condivisione, in cui ci si arricchisce a vicenda. Quante volte, al capezzale di un malato, si impara a sperare! Quante volte, stando vicino a chi soffre, si impara a credere! Quante volte, chinandosi su chi è nel bisogno, si scopre l’amore!»

Essere pellegrini di speranza

Essere pellegrini, gli uni per gli altri, cioè non solo portatori di speranza, ma cercatori di quella speranza che il tempo della malattia mette così a dura prova, aiutandosi a sceglierla e risceglierla insieme ogni giorno «sperando contro ogni speranza» (Rm 4,18) e radicando la nostra vita su Colui che solo ce ne può fare dono. Allora, scrive ancora il Papa, «ci si rende conto, cioè, di essere “angeli” di speranza, messaggeri di Dio, gli uni per gli altri, tutti insieme: malati, medici, infermieri, familiari, amici, sacerdoti, religiosi e religiose; là dove siamo: nelle famiglie, negli ambulatori, nelle case di cura, negli ospedali e nelle cliniche».

In questi giorni, a fronte di situazioni pesanti che sto incontrando, porto nel cuore alcuni versetti della Scrittura di uno dei «Salmi di pellegrinaggio» che fanno pregare così: «Beato chi trova in te la sua forza e decide nel suo cuore il santo viaggio. Passando per la valle del pianto la cambia in una sorgente» (Sal 84). Sono parole che mi piace condividere alla vigilia di questa Giornata mondiale del malato perché risuonano come un invito a prendere la decisione di questo pellegrinaggio esteriore e interiore, ma anche perché evocano la grazia che vorremmo chiedere come frutto del nostro farci pellegrini verso il tempio che sono i sofferenti: che mentre la si attraversa insieme, la valle del pianto si possa rivelare misteriosamente come una sorgente di vita, e le lacrime, mentre si asciugano condividendole, possano sprigionare la loro misteriosità fecondità.

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