Paura delle urne
Governo fa melina

L’affannosa (ma anche abbastanza vana) ricerca di un qualche ruolo del governo italiano nella crisi libica e medio-orientale, ha messo per qualche giorno in secondo piano la mole di problemi irrisolti che si continuano ad accumulare sul tavolo del governo, senza peraltro vedere una possibilità di decisione. È un elenco che comincia a diventare veramente troppo lungo per la ragione che da settimane i due partiti alleati litigano su tutto e trovano un accordo solo sul rinvio.

L’ultimo episodio in ordine di tempo è quello della richiesta di M5S e Pd di spostare a dopo le elezioni in Emilia Romagna il voto sulla richiesta di autorizzazione a procedere contro Matteo Salvini per il caso della Nave Gregoretti. I grillini temono che votare a favore della richiesta dei giudici contro il loro ex alleato dia una facile arma polemica a Salvini («Conte e Di Maio erano d’accordo con me sui porti chiusi e adesso si rimangiano tutto») e oltretutto scontenti una parte del loro elettorato proprio mentre il movimento rischia di subire in Emilia Romagna una storica disfatta elettorale (si dice che il M5S potrebbe scendere sotto il 6% dal 32% del 2018).

Ma questo è un episodio. In generale, mentre prima delle feste era stato tutto un annunciare che presto ci sarebbe stata «una nuova agenda» del governo, anzi «un cronoprogramma», una «fase due», un «rilancio» successivo alla legge di Bilancio, e che tutto questo sarebbe stato messo a punto con un vertice post natalizio, bene, si è venuto a sapere che di riunioni per il momento non si parla proprio e che tutto viene spostato – ancora una volta – all’indomani delle fatidiche elezioni regionali a Bologna e a Cosenza del 26 gennaio. Che così vengono ad assumere un significato politico nazionale. Se il Pd perderà la regione «rossa» per eccellenza, il governo verrà terremotato. Se il M5S, come dicevamo sopra, scenderà ai minimi storici si accentueranno le fughe di parlamentari verso lidi più sicuri (ieri altri due deputati hanno fatto le valige e hanno traslocato al gruppo Misto). Se invece il pd Bonaccini ce la farà a mantenere la poltrona di governatore e la Lega perderà la sua sfida, il governo riuscirà a prendere un poco di fiato e ad andare avanti. In quel caso si farà un vertice e si parlerà delle questioni sospese, per esempio la riforma della prescrizione e le obiezioni del Pd, oppure la revoca della concessione delle autostrade ad Atlantia/Aspi (il Pd sarebbe per una punizione esemplare della società dei Benetton, i 5 Stelle vogliono invece una ghigliottina da esporre in piazza), e tante altre cose ancora.

Nel frattempo, si lavora per il futuro. Futuro elettorale, si intende. La maggioranza ha trovato un accordo sulla riforma del Rosatellum: si tornerebbe alla vecchia, cara legge proporzionale della prima Repubblica con sbarramento più alto, al 5 per cento secondo il modello vigente a Berlino (per questo già lo chiamano «Germanicum»). Nel frattempo si aspetta la decisione della Corte Costituzionale sul referendum promosso da Calderoli e dalla Lega per una trasformazione del Rosatellum in senso totalmente maggioritario. Come si vede, si tratta di due opposti. Il proporzionale serve a ridimensionare la futura vittoria della Lega e del centrodestra; il maggioritario a rafforzarla. In tutto ciò, per non chiari giochi di palazzo, ieri sono venute meno alcune firme di parlamentari per presentare un referendum contro il taglio dei deputati e senatori: in quattro hanno avuto una crisi di coscienza, e i più mettono il dietrofront in relazione proprio alla partita a scacchi sulla nuova legge elettorale e la conseguente durata della legislatura.

Una cosa però ieri il consiglio dei ministri l’ha fatta: ha stabilito come dividere in due il ministero dell’Istruzione, d’ora in poi ci saranno una poltrona per la scuola e una per l’università.

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