L'Editoriale
Venerdì 20 Novembre 2020
Patto Europa e Usa
La Cina si espande
All’indomani delle presidenziali Usa del 2016 gli ultraconservatori russi si incontrarono in un ristorante moscovita per festeggiare l’insperata vittoria di Donald Trump. Il nazionalismo del tycoon americano, pensavano, avrebbe allontanato le due sponde dell’Atlantico e diviso l’Occidente a tutto loro vantaggio. La loro comune linea ideologica con la Casa Bianca, dichiaravano, sarebbe stata la creazione di una specie di «tradizionalismo internazionale». A quattro anni di distanza la domanda imperante è se i destini dei due poli dell’Occidente si siano sciolti definitivamente, anche per il sorgere della Cina come potenza mondiale, e se è colpa di Donald Trump se in questo lasso di tempo gli Stati Uniti abbiano perso così tanto terreno, a favore dell’«Impero celeste», sul fronte della leadership globale. Inoltre cosa dovrebbero fare adesso i 27 della Ue?
Iniziamo col dire che gli interessi economico-finanziari dei due poli dell’Occidente non sono più convergenti come prima, ma rimangono una solida base comune e la necessità di non uscire sconfitti da questa fase della globalizzazione. Ecco perché, dopo il 3 novembre e la sconfitta di Trump vi è l’urgenza di dover presto decidere insieme come riorganizzare la politica commerciale ed industriale occidentale. È stata infatti eccessiva in passato la delocalizzazione a tutto vantaggio di Paesi terzi. Un solo esempio: ma come è possibile che, per settimane, il Vecchio Continente abbia atteso l’arrivo delle mascherine anti-Covid, che, in pratica in primavera, si producevano solo in Cina? Questo processo di delocalizzazione selvaggia ha pure determinato il contemporaneo passaggio di rilevanti conoscenze (know-how).
Ora definire regole condivise ed un unico approccio su come comportarsi in presenza di investimenti cinesi in America ed in Europa sarà l’altro banco di prova cruciale dello stato dei rapporti bilaterali per evitare future incomprensioni. Il riferimento alle reti 5G è chiaro. Le due sponde dell’Atlantico detengono comunque storici interessi militari e geopolitici. Ribadire la centralità della Nato, architrave della pace nel Vecchio continente, sarà fondamentale. Certo, l’Europa dovrà accettare una volta per tutte che è nel Pacifico che gli Stati Uniti - se riusciranno a mantenere il primato globale dell’innovazione tecnologica - si giocano la leadership mondiale. Già Barack Obama riposizionò il suo Paese anche grazie alla «rivoluzione» dello shale in campo energetico. Non serve più a Washington vegliare sulle rotte del petrolio in Medio Oriente, quando in casa propria si produce un oceano invenduto di «oro nero». Ecco la ragione del ritiro Usa da certi scenari. Donald Trump aveva quindi solo proseguito questa linea, commettendo però gravi errori relazionali con gli europei e smantellando in Asia il sistema di contenimento della Cina voluto dal suo predecessore.
Il problema è semmai un altro: l’Unione europea è troppo concentrata su sé stessa, sul suo costruirsi. Serve una vera politica estera perlomeno nel vicinato se si desidera che vi siano pace e stabilità nel Mediterraneo o ad Est, oltre la vecchia Cortina di ferro. Gli Usa hanno bisogno in pratica di un partner attivo, con valori comuni, come lo è stata la Gran Bretagna per decenni, soprattutto in presenza di nuove sfide globali (nuova automazione industriale, intelligenza artificiale, proliferazione nucleare, esplorazione dello spazio) e dell’avanzare della Cina, che proseguirà nella sua corsa impetuosa.
Ma fino a quando Pechino non investirà in campo militare i copiosi proventi realizzati si potranno dormire sonni quasi tranquilli.
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