Parlamento indebolito
Referendum più facili

Oggigiorno raccogliere le firme per un referendum è assai più facile che ai tempi di Marco Pannella. Allora – eravamo negli anni ’70-’80 - i radicali dovevano organizzare in tutte le piazze d’Italia i banchetti per la raccolta delle firme, trovare un notaio disposto a sedersi per autenticarle, pretendere dai giornali e dalla televisione uno spazio informativo sul quesito da abrogare. Pannella riuscì in tanti anni a travolgere il Parlamento con i suoi referendum a batteria, alcuni dei quali storici, capaci di rivoluzionare il volto dell’Italia, altri caduti rapidamente nel dimenticatoio. Fu talmente usato e abusato, quello strumento, da renderlo a poco a poco desueto, un’arma spuntata.

Adesso però sta cambiando tutto perché raccogliere le firme è enormemente più facile grazie alla tecnologia digitale: si fa da casa, con lo Spid, pigiando un tasto del pc, come se fosse un like su una foto di Instagram. È stato un astuto giovane deputato radicale di Roma, Riccardo Magi, ad introdurre nel decreto Semplificazioni la novità, poi votata all’unanimità da deputati e senatori. Che però non avevano forse calcolato a sufficienza le conseguenze della loro liberalità: ora infatti con i clic elettronici le firme per i referendum sul tappeto sono volate. I quesiti sulla cannabis legale e sull’eutanasia legale hanno preso il volo doppiando facilmente le cinquecentomila firme. E allo stesso modo i referendum sulla giustizia presentati insieme dalla strana coppia Radicali-Lega si avviano verso il milione di sottoscrizioni. Un boom.

Notizie che hanno allarmato i costituzionalisti, i giudici della Cassazione e quelli della Consulta che temono uno stravolgimento del rapporto tra elettori e Parlamento. Anche perché il numero delle firme necessarie ad andare di fronte alla Corte di Cassazione per il giudizio di ammissibilità fu deciso nel 1947 con un’Italia che aveva la metà dei cittadini di oggi. Da tanto allarme su una possibile sbornia referendaria, si sono moltiplicate le proposte di adeguamento, la più gettonata delle quali prevede che la Cassazione si pronunci non alla fine della raccolta - quando potrebbe trovarsi nell’imbarazzo di dire no a milioni di sottoscrittori - ma non appena il quesito raggiunga quota centomila così da bloccarlo subito se è il caso. Sarebbe un calmiere che salverebbe innanzitutto la Cassazione da un cortocircuito con l’istituto referendario ma anche il Parlamento.

Come è noto, in queste ultime legislature il potere si è andato via via concentrando sul governo, il presidente del Consiglio, i ministri, a scapito di un Parlamento sempre meno determinante, con scarso prestigio, indebolito al punto da subire un drastico ridimensionamento dei suoi organici (quando i grillini sono riusciti a tagliare centinaia di poltrone di deputati e senatori per risparmiare). Ormai i governi vanno avanti per decreti immediatamente operativi, per leggi-delega e per voti di fiducia che espropriano i parlamentari della possibilità di modificare i testi in discussione. Testi, si badi bene, che provengono quasi esclusivamente dai ministeri e non dai gruppi parlamentari. Di questo stato di delegittimazione parlamentare si parla e si discute tanto nei convegni ma si fa poco e niente per affrontarla. Ora, con l’esplosione dei referendum, Camera e Senato potrebbero essere definitivamente calpestati senza neanche poter protestare. Basta un clic.

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