Pandemia, la normalità e i diritti mai violati

Lo scorso 31 marzo è stata dichiarata, dopo due anni, la fine dell’emergenza Covid. Tale scelta ha avuto immediati effetti giuridici con lo scioglimento della Commissione tecnico-scientifica e con la conclusione dell’azione di coordinamento - affidata al generale Figliuolo - della somministrazione dei vaccini. Si chiude una pagina e se ne apre un’altra. Si può, quindi, tentare di fare un bilancio, fermo restando che il virus continua a circolare, che occorre mantenere comportamenti basati sulla prudenza e sulla responsabilità individuale. Primo tra essi il completamento, per chi non l’abbia fatto, del ciclo vaccinale.

Per fare un bilancio occorre partire dai dati normativi, dal d.l. n. 6 del 2020, che segnò l’inizio della legislazione di emergenza, a d.l. 24 del 2002 con il quale essa è venuta meno e sono stati soppressi gli organi straordinari messi in campo per combattere il Covid 19. In tale arco di tempo non sono mancate voci molto discordanti e, sovente, fortemente critiche nei confronti dei governi che si sono succeduti. Proprio sulle forti perplessità espresse da alcuni giuristi illustri e da altre persone di elevata notorietà (magari autoattribuita) occorre riflettere. Si è parlato di «Stato di eccezione», richiamando le teorie di Carl Schmitt degli anni ’30 del Novecento. Si è sostenuto spesso che il Parlamento era stato totalmente estromesso dal circuito decisionale, poiché il solo attore era il Governo e gli unici atti giuridici concreti erano i decreti del presidente del Consiglio. In tali ragionamenti non si teneva conto sia di elementi di fatto, sia dei meccanismi giuridici che regolano uno Stato di diritto. Sarebbe utile ricordare che il primo decreto legge in materia (il numero 6 del 2020) fu approvato in soli 15 giorni, rispetto ai 60 che la Costituzione pone come limite, con quella che si definirebbe una «maggioranza bulgara».

Ciò non dovrebbe sorprendere, perché evidentemente le forze politiche presenti in Parlamento compresero l’urgenza di dare al potere esecutivo gli strumenti per agire in condizioni di straordinarietà (e non di «eccezione»). Che poi il Parlamento non abbia brillato per assecondare in modo costruttivo l’azione del Governo è argomento che qui non riguarda. Analogamente si deve dire dell’uso dei dpcm. Molto si discusse e si continua a discutere sul loro contenuto e sulla efficacia delle regole in essi previste. È indubbio che molte delle regole imposte ai cittadini sono state spessissimo poco chiare, talvolta irrazionali o mal congegnate.

Ma è necessario tener conto delle difficilissime condizioni nelle quali tali decreti venivano emanati, in una continua modifica della situazione epidemica e della necessità di operare per evitare che la diffusione del virus prendesse il sopravvento. La limitazione di alcune libertà individuali, sacrosante e costituzionalmente sancite, è stata notevole. Ad iniziare dalla limitazione - fino ad arrivare al divieto - di riunirsi o di uscire di casa. Durissime le condizioni degli studenti e degli insegnanti per assicurare l‘istruzione degli alunni. L’elenco potrebbe continuare all’infinito. Ma ciò che conta sono i risultati di contenimento del virus, che hanno permesso una graduale ripresa della normalità. Si può concluderne che le accuse di violazioni dei diritti, di compressione delle libertà costituzionali, sono sostanzialmente infondate. Nelle circostanze date, lo Stato ha fato il suo dovere, spesso dovendo pazientemente mediare con le Regioni e, in qualche caso, anche con singoli Comuni.

Per limitare gli errori è indispensabile che il Parlamento (magari su iniziativa del Governo) valuti e approvi alcune leggi che prevedano poteri nella prevenzione di eventi eccezionali. In particolare sui temi della salute e della tutela ambientale. Al riguardo preoccupa il fatto che da molte parti si stia avviando lo smantellamento dei presidi sanitari messi in piedi durante la pandemia. Si tratta di un errore assai grave, perché le vicende del Covid hanno dimostrato che soltanto un sistema sanitario diffuso a rete sul territorio, unito ad una centralizzazione dei poteri di indirizzo e controllo, potrà scongiurare il pericolo di essere travolti in futuro da fenomeni straordinari.

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