Pandemia e culto
problema globale

Il via libera era stato dato in pratica dalla Camera dei Deputati l’altra sera. E così ieri mattina la Conferenza episcopale italiana e il governo hanno firmato un protocollo che prevede per il 18 maggio la ripresa delle Messe, seppur con una serie di regole. Sulle Messe si era consumato uno scontro politico. Da una parte Lega e Fratelli d’Italia che volevano la ripresa immediata. Dall’altra il governo, che nell’ultimo Dpcm negava la possibilità. A mediare si è messo l’on. Stefano Ceccanti( Pd) docente di Diritto costituzione alla Sapienza di Roma. Ceccanti è stato in gioventù presidente della Fuci e conosce bene per esperienza l’arte della mediazione e della pazienza soprattutto con gli interlocutori ecclesiastici.

Dopo la Nota della Cei che denunciava addirittura una violazione della libertà di culto per la sospensione sine die delle funzioni religiose, il rischio di fughe in avanti dei presidenti delle Regioni alla ricerca del consenso cattolico, l’impasse tra Cei, governo e Comitato tecnico scientifico con irrigidimenti contrapposti, era evidente che la strada per trarre tutti dall’impaccio era una norma che avesse un peso più evidente. La strada c’era ed era quella di inserire la questione nel decreto sul Dpcm in discussione in aula. L’apertura immediata prevista dagli emendamenti di Lega e Fdi non è passata. Invece la formulazione di Stefano Ceccanti ha avuto un ampio consenso. Si prevede che sia giusto per il governo decidere la sospensione delle cerimonie religiose, ma aggiunge la previsione che il governo debba procedere con protocolli di intesa con le confessioni religiose per definire le misure necessarie per riprenderle in sicurezza.

E così il protocollo ieri è stato firmato con la Cei, che aveva un’interlocuzione avanzata con il ministero dell’Interno, mentre con le altre confessioni, anche quelle che non hanno firmato intese con il governo italiano per esempio i musulmani, si è avviato un dialogo con il Viminale, a prescindere dalla loro rappresentanza formale, per cercare una soluzione ad un problema come l’esercizio del culto fondamentale in una democrazia. Si tratta di un precedente non da poco, che molti si auspicano possa essere replicato anche dopo l’emergenza, per affrontare problemi che la pandemia ha messo sotto la lente, come quello delle sepolture islamiche, visto che molti comuni italiani non hanno spazi cimiteriali dedicati ad esse. Forse si poteva pensare prima ad una cornice istituzionale e ad un passaggio parlamentare. Si sarebbero evitate polemiche e irrigidimenti tra le varie parti e si sarebbe aiutato tutti, credenti e non credenti, a sentirsi cittadini riconosciuti ognuno con i propri valori e con pari diritti.

L’esercizio di culto al tempo della pandemia è un problema globale, anzi un rebus a causa delle diversità dell’esercizio da parte delle diverse confessioni religiose. I musulmani che stanno vivendo il Ramadan, il mese sacro di digiuno dell’Islam, non possono celebrare al tramonto la cena di «Iftar» che rompe l’astinenza del giorno con le famiglie vicine, né andare in moschea per la collettiva preghiera serale. Il Ramadan è iniziato il 23 aprile e terminerà il 23 maggio e forse per quella data anche i musulmani potranno fare in sicurezza la tradizionale festa di Eid al-Fitr con banchetti, danze e preghiere naturalmente mantenendo le distanze. E a causa della pandemia è stato vietato un altro dei pilastri dell’Islam, il pellegrinaggio alla Mecca. In alcuni Paesi vi sono state proteste contro le autorità per la chiusura delle moschee. Le più violente si sono registrate in Niger, dove in decine di quartieri della capitale Niamey sono state erette barricate e bruciati pneumatici.

© RIPRODUZIONE RISERVATA