L'Editoriale / Bergamo Città
Mercoledì 11 Novembre 2020
Ora rilanciare
l’economia
La catastrofe pandemica ha indotto le autorità europee a sollevare per due anni i vari Paesi dall’obbligo di rispettare i vincoli di bilancio, al fine di poter ricorrere al debito per finanziare la ripresa dell’economia reale. Oltre a consentire a livello nazionale spese in deficit, dopo non poche discussioni si è convenuto, con una decisione di rilevanza davvero storica per lo sviluppo del processo europeo, sull’opportunità di erogare fondi per circa 1.500 miliardi attraverso la costituzione di un debito comune sottoscritto dai 27 Paesi comunitari. Per finanziare il debito si procederà all’emissione di «eurobond» molto attesi dal mercato. Una risposta concreta l’ha data la prima richiesta di sottoscrizioni per 17 miliardi del Sure, che ha raccolto adesioni per ben 230 miliardi.
In Italia la situazione determinatasi rispetto ai conti pubblici appare molto critica. Il Pil ha registrato un calo dell’8-10%, con una perdita occupazionale di circa 450 mila posti. Il rapporto debito Pil - dopo aver effettuato spese per oltre 100 miliardi - si è attestato intorno al 160% e il rapporto deficit/Pil intorno al 10%. Il tutto aggravato dal fatto che non solo il Mes, come impropriamente affermato dal presidente Conte, ma tutti gli altri fondi europei una volta utilizzati peseranno ulteriormente sul nostro debito. Ciò è avvenuto anche con la recente manovra di bilancio, che ammonta a 39 miliardi tra aumenti di spesa e tagli di tasse, che ha coperture in deficit per 24 miliardi e utilizza sovvenzioni a fondo perduto dall’Europa per 15 miliardi. Sempre in deficit sono gli indennizzi erogati ad operatori economici finanziari, culturali e sportivi per le chiusure decise fino al prossimo 24 novembre e tutti gli altri indennizzi che potranno essere erogati nei prossimi mesi.
Per affrontare questa complessa condizione finanziaria, occorrerà porre in essere una prospettiva di rilancio dell’economia anche attraverso un sapiente utilizzo dei fondi europei, in particolare di quelli previsti dal Next Generation Ue (110 miliardi di debito e 90 di contributi a fondo perduto). L’obiettivo di tale piano è finanziare progetti che si propongano, tra l’altro, di estendere la digitalizzazione, accrescere l’innovazione tecnologica, aumentare l’istruzione, migliorare il comparto della sanità, sostenere la green economy e l’utilizzo di fonti di energia non inquinanti. Ciascuno di questi progetti dovrà essere predisposto con cura per ottenere il placet dalla Commissione e potrà garantire risultati apprezzabili nel medio-lungo termine. La gravità dell’attuale situazione, specie sul piano occupazionale, impone però anche la messa in campo d’investimenti destinati a produrre effetti positivi nel brevissimo termine. Tra questi, c’è chi ha proposto una moderna riedizione del «Piano Fanfani», che con il progetto Ina-Casa riuscì a fronteggiare la grave crisi sociale postbellica, ottenendo una rapida crescita. Oggi l’industria delle costruzioni, oggetto di radicali innovazioni attraverso la digitalizzazione e l’industrializzazione dei processi, pesa per circa l’8% del Pil e rappresenta una leva straordinaria per l’attivazione immediata di una gamma molto ampia di economie in tanti altri settori. Una delle sue più interessanti applicazioni potrebbe essere rappresentata dal rinnovo del patrimonio abitativo, che per più del 50% risale a cinquant’anni fa e che può costituire il terreno più adatto a misure che integrino effetti economici, ambientali, sociali e di sostenibilità. Bene ha fatto il governo a prevedere un credito d’imposta fino al 110% per interventi che migliorino l’efficienza energetica degli edifici e che riducano il rischio sismico. Occorre ora che il Parlamento si faccia carico di ulteriori interventi ancora più radicali, che mirino a uno snellimento degli assetti normativi e procedurali del settore, così da consentire a investitori e imprese di operare con efficacia e speditezza in condizioni di maggiore fiducia.
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