Odissea Sea-Watch
La bufera delle emozioni
e il risiko delle alleanze

Può anche darsi che la determinazione dimostrata dalla capitana della Sea-Watch, Carola Rackete, nel voler far approdare a tutti i costi il suo carico di 42 immigrati finisca per risvegliare il sentimento di umanità degli italiani, sinora tacitato dalla retorica securitaria del leader leghista. Può darsi insomma che sull’onda dell’emozione suscitata dalla «provocazione» della – per riprendere l’epiteto beffardo affibbiatole da Matteo Salvini – «sbruffoncella pagata da chissà chi», si coaguli e prenda forza un’opposizione al governo giallo-verde, rimasto sinora libero di fare, impunito, tutto e il contrario di tutto. Temiamo, però, che il braccio di ferro ingaggiato dalla giovane capitana contro il «disumano» capitano del Carroccio, se rende un buon servizio agli avversari di Salvini, ne renda uno ancor migliore allo stesso Salvini.

Il rilancio della questione sugli immigrati, che negli ultimi tempi sembrava stesse sgonfiandosi (a ragione sia dell’ormai raggiunto contenimento di nuovi arrivi dall’Africa sia dell’inevitabile logoramento di una polemica protrattasi fin troppo) offre infatti a Salvini l’opportunità di rinfocolare uno scontro che spinge l’opinione pubblica a dividersi sull’asse amici/nemici del futuro «dittatore» – così almeno insinua una firma illustre del giornalismo nazionale come Giampaolo Pansa in un libro fresco di stampa a lui (Salvini) interamente dedicato – eleggendolo a mattatore unico della politica nazionale.

Non sono soltanto i sondaggi ad avvalorare questa ipotesi. È la stessa dinamica del braccio di ferro ad accreditarla. Il ritorno di fiamma della questione sugli immigrati costringe gli alleati di Salvini a stringersi attorno a lui se non vogliono essere accusati di intesa col nemico; e, nelle condizioni di debolezza in cui si trovano, non si possono certo permettere cedimenti, terrorizzati come sono di finire nel tritacarne di nuove elezioni.

Dinamica, che vincola inoltre i suoi avversari dem, per la logica inesorabile che impone all’opposizione di mettersi sul fronte opposto della maggioranza, ad ergersi a paladini della causa pro immigrati che tante defezioni ha già procurato tra le loro file e che altre minaccia di provocare. Dinamica, che soffoca infine il confronto politico nazionale silenziando i temi – si pensi solo al continuo sforamento del debito pubblico e alla perdurante stagnazione economica – che potrebbero invece diventare l’arma vera nelle mani di un’opposizione, una buona volta che si decida a sferrare il suo affondo al governo.

Consolidandosi nel suo ruolo di decisore di ogni vertenza e scelta, è evidente che il vice premier leghista si procura un ulteriore vantaggio, aggiungendo al suo mazzo di carte ben due jolly, entrambi vincenti.

Con il primo può puntare sul voto anticipato, sicuro di suscitare il panico tanto tra le file già scompaginate dei timorosi alleati grillini quanto tra gli oppositori di sinistra tuttora incerti sul da farsi, sia tra gli azzurri di FI, sempre in benevola attesa che Salvini li chiami alla sua corte, sia tra i democratici del Pd, a parole ansiosi di affrontare la pugna ma in cuor loro coscienti che potrebbero tutt’al più riportare l’onore delle armi.

Col secondo, può insistere invece nel fare la voce grossa a destra e a manca, a Roma e a Bruxelles, solo per alzare il suo potere di contrattazione e alla fine sottoscrivere un compromesso che spera vantaggioso, potendosi così vantare di esser riuscito a stappare, nell’incredulità generale dei media, il via libera al suo piano di riforme.

© RIPRODUZIONE RISERVATA