Nucleare «green»
L’europa è divisa

In un prossimo documento dettagliato la Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen indicherà quale sia la scelta più opportuna tra gas e nucleare per pervenire alla «carbon neutrality» entro il 2050. Consiglio e Parlamento potranno approvarlo così com’è o bocciarlo a maggioranza qualificata. Allo stato, i 27 Paesi membri sono divisi più o meno a metà. Quelli favorevoli al nucleare seguono la posizione della Francia che produce il 37% dell’energia nucleare Ue e che, con 58 centrali, rappresenta il primo produttore in Europa, coprendo i tre quarti del proprio fabbisogno.

Gli altri Paesi seguono la posizione della Germania che, dopo il disastro di Fukushima, ha deciso di smantellare nei prossimi anni le sue centrali nucleari, puntando su rinnovabili e gas. L’Italia appartiene come noto a questo secondo gruppo, avendo da tempo rinunciato al nucleare, anche se il ministro Cingolani ha in più occasioni dichiarato di non voler rinunciare alla ricerca sulle centrali di IV generazione che, a suo avviso, potrebbero risolvere il nodo delle scorie radioattive. La scelta dell’Ue resta comunque meramente indicativa, in quanto le decisioni in ambito energetico spettano ai singoli governi. È prevedibile, tuttavia, che il documento dell’Ue avrà non poca influenza sia sulle scelte fatte da ciascun Paese, sia sulle decisioni dei mercati finanziari pronti a canalizzare ingenti investimenti in una direzione o nell’altra. Per farsi guidare nella direzione più opportuna, la Commissione ha preso in esame principalmente due studi. Il primo, redatto dal «Joint Research Center » (Jrc) che fa capo alla stessa Commissione, è favorevole all’utilizzo del cosiddetto «nucleare ambientale» sulla base delle seguenti considerazioni: accurate analisi fino ad oggi effettuate non hanno fatto emergere alcuna evidenza scientifica che l’energia nucleare sia per la salute umana come per l’ambiente più dannosa delle altre tecnologie; l’impatto dell’energia nucleare per la produzione di energia elettrica è paragonabile a quello dell’idroelettrico e delle altre rinnovabili; le tecnologie disponibili consentono di attuare a costi ragionevoli misure in grado di prevenire incidenti o mitigarne le conseguenze; il problema dello smaltimento delle scorie radioattive potrà essere superato collocando le stesse a grandi profondità per isolarle dalla biosfera per un arco di tempo molto lungo. In direzione del tutto contraria si muove il secondo studio redatto dal «Comitato scientifico della salute, l’ambiente e i rischi emergenti», formato da esperti indipendenti.

Secondo questi, è preferibile investire nelle «energie rinnovabili» per raggiungere l’obiettivo 2050 e, nel frattempo, utilizzare il gas come combustibile di transizione perché, anche se produce CO2, è molto più pulito del carbone. In particolare, ritengono «superficiale» il confronto in termini di emissioni tra il nucleare e le altre tecnologie e definiscono «semplicistica» la soluzione prevista per lo stoccaggio dei rifiuti a elevata radioattività da blindare sottoterra per migliaia di anni in depositi ad altissima profondità. Al riguardo, sostengono che quest’ultima «rimane una questione aperta per la ricerca, con elevati livelli di incertezza». Sottolineano, infine, che il 90% dell’uranio necessario all’Ue dovrebbe essere importato da sette Paesi non appartenenti all’Ue ai quali non è possibile imporre agevolmente regole europee in termini di prevenzione e controllo antinquinamento.

L’onere di trovare un’improbabile sintesi tra posizioni così drasticamente antitetiche spetta dunque a Ursula von der Leyen, sulla quale ogni Paese sta esercitando forti pressioni per far prevalere il proprio indirizzo. Le pressioni maggiori, tra l’altro, giungono proprio dal suo stesso Paese, la Germania, che si pone in netto contrasto con lo studio dell’Jrc. Per la Presidente della Commissione europea, che parrebbe favorevole al nucleare, si profilano giorni parecchio complicati e di difficile composizione, dovendosi districare tra fuoco amico e nemico, a fronte di una matassa d’interessi economici e di salvaguardia ambientale molto, molto complessa da sbrogliare. In attesa del verdetto documentale, l’unica certezza per il benessere della nostra Europa è che il 2050 dovrebbe segnare la fine dell’utilizzo del carbone.

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